Armi spuntate

Le sanzioni inflitte fino ad ora dall’Ue contro la Russia intaccano in minima parte l’export della Federazione verso l’Unione

Armi spuntate

L’Ue è sempre più vicina a vietare le importazioni di carbone dalla Russia. Sarebbe un “colpo” da 5 miliardi di euro, che andrebbe ad aggiungersi ai 3 miliardi sottratti a Mosca proibendo le importazioni di ferro e acciaio a metà marzo.

Nel frattempo, tuttavia, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che chiede di escludere la Russia dal G20 e inasprire le sanzioni contro Mosca, appena sospesa anche dal Consiglio Onu per i diritti umani. Nel mirino di Bruxelles non solo le importazioni di carbone, ma anche di gas e petrolio. Insomma, malgrado le nuove misure, l’Ue non starebbe facendo ancora abbastanza.

Lo stop al carbone russo non arriverebbe subito, ma partirebbe da agosto, e solo per i nuovi contratti. E pensare che questa separazione sarebbe molto più semplice rispetto a quella dagli altri combustibili fossili forniti da Mosca: solo il 19% dei consumi Ue di carbone arriva dalla Russia, una quota ben lontana rispetto al 37% di petrolio e al 41% di gas naturale.

Di converso, però, per la Russia il carbone rappresenta solo una piccola quota dei ricavi dalle esportazioni di energia verso l’Ue: nel 2021 era il 5%, contro il 77% del petrolio (tra greggio e suoi prodotti come benzina e diesel) e il 18% del gas naturale. Un colpo, dunque, non letale. Se si vuole colpire davvero Mosca bisogna farlo sul petrolio. Qualcosa di tecnicamente più fattibile (ma non facile da attuare) che ridurre le importazioni di gas.

È certamente vero che il mercato del petrolio è globale, dunque gli effetti di sanzioni UE si “spalmerebbero” su tutti i grandi consumatori mondiali. Ed è vero che qui gli alleati si possono dare una mano, cosa che gli Usa hanno fatto settimana scorsa promettendo di rilasciare sul mercato 180 milioni di barili di riserve strategiche da qui a fine settembre (1 milione al giorno).

Ma anche qui la geografia ha un peso. Gran parte delle raffinerie europee è “tarata” per il petrolio russo. E parte di questo petrolio viaggia via oleodotto, e non via nave, verso raffinerie tedesche e polacche senza accesso al mare. Quello che si preannuncia è quindi un divorzio difficile.

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