Il caos senza fine del post Gheddafi nel paese africano più ricco di petrolio

La Libia è senza pace dal 2011. E i giacimenti di petrolio sono ostaggio della guerra civile

Il caos senza fine del post Gheddafi nel paese africano ricco di petrolio
Muammar Gheddafi, alla guida della Libia dal 1969 al 2011

Ci risiamo. Non è la prima volta che le esportazioni di petrolio dalla Libia si paralizzano, mandando in tilt le forniture per l’Europa e facendo schizzare il prezzo del barile sui mercati finanziari. L’ultima volta fu nell’aprile scorso, quando vennero chiusi i pozzi del giacimento di Sharara, nel deserto a sud di Tripoli, in quella vasta area che viene definita “Mezzaluna petrolifera”. La società Noc (acronimo che identifica la ‘vecchia’ società di Stato National Oil Corporation) fu costretta a fermarsi perché gruppi armati avevano minacciato i dipendenti dell’impianto.

Fatti di questo tipo, dopo la caduta del colonnello Gheddafi, sono la regola nel paese nordafricano, dove da giorni sono ripresi violenti scontri alimentati anche dall’esasperazione della popolazione. Gli idrocarburi rappresentano l’unica ricchezza della Libia (48 miliardi di barili di riserve accertate) e i giacimenti diventano oggetto di pressione nella guerra civile tra le due fazioni. Le continue aggressioni costringono le compagnie straniere che operano in Libia (tra cui Eni che è presente in Libia dagli anni ‘60) a provvedere alla sicurezza di impianti e personale. E impediscono che i giacimenti possano produrre al massimo delle loro potenzialità.

L’attuale stop alle esportazioni fornisce inoltre un’ulteriore spinta al prezzo. Ed è inevitabile visto che la produzione sta ora subendo un forte calo, con esportazioni giornaliere comprese tra 365mila e 409mila barili al giorno, il che significa una diminuzione di 865mila barili al giorno rispetto alla produzione in “circostanze normali”, come ha comunicato Noc.

Quanto sta avvenendo in Libia spinge verso l’alto i prezzi dell’oro nero e non di quello blu. Perché? A differenza del petrolio, le esportazioni di gas sono più ridotte. Il metano arriva in Europa attraverso il gasdotto Greenstream, gestito da Eni, che approda a Gela (in Sicilia): potrebbero giungerne fino a 10 miliardi di metri cubi, ma ad esempio l’anno scorso sono stati poco più di 3 miliardi. Non abbastanza per scatenare l’ennesimo terremoto energetico.

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