
Il Giappone potrebbe utilizzare le sue massicce riserve di titoli di Stato americani come strumento di pressione nei negoziati commerciali con l’amministrazione Trump.
L’avvertimento del ministro delle Finanze nipponico
A suggerirlo è stato il ministro delle Finanze Katsunobu Kato in un’intervista televisiva, dove ha sottolineato che “ogni opzione deve restare sul tavolo” durante i colloqui bilaterali, inclusa la gestione delle partecipazioni giapponesi nel debito pubblico statunitense.
Per il Giappone sarebbe una mossa azzardata
Con circa mille miliardi di dollari in Treasury, il Giappone è uno dei principali creditori degli Stati Uniti, al pari della Cina. Ma gli analisti avvertono: una vendita massiccia di titoli di Stato americani potrebbe danneggiare anche il Giappone.
Rischi sistemici
Una vendita di titoli di Stato Usa potrebbe risultare utile a breve termine (ad esempio, per sostenere lo yen), ma comporterebbe rischi sistemici per il Giappone stesso, che è profondamente integrato nei mercati finanziari globali e dipende fortemente da esportazioni e stabilità valutaria. In dettaglio, è possibile individuare quattro tipi di rischi.
Svalutazione dei titoli già in portafoglio
Se il Giappone iniziasse a vendere grandi quantità di Treasury, il prezzo di questi titoli scenderebbe (per legge della domanda e dell’offerta), causando perdite in conto capitale sui titoli ancora in portafoglio e la riduzione del valore totale delle riserve giapponesi denominate in dollari.
Rafforzamento dello yen
Vendere Treasury implica convertire dollari in yen. Questo aumenterebbe la domanda di yen, determinando l’apprezzamento dello yen; ma uno yen forte rende meno competitive le esportazioni giapponesi, che sono vitali per la sua economia (soprattutto automotive, elettronica, e meccanica).
Tensioni finanziarie globali
Una vendita massiccia da parte del Giappone potrebbe, inoltre, innescare timori sui mercati riguardo alla stabilità del debito Usa, e far salire i tassi di interesse statunitensi (per rendere i titoli più appetibili), con ripercussioni negative anche sulle condizioni finanziarie globali, incluso il Giappone. Senza contare che una decisione del genere da parte della quarta economia al mondo danneggerebbe in modo strutturale le relazioni economiche bilaterali sull’asse Tokyo-Washington.