
Donald Trump, con la minaccia di ritorsioni fiscali nel suo “Big Beautiful Bill”, ha costretto i partner del G7 a rivedere la Global Minimum Tax. Il risultato? Le multinazionali statunitensi saranno esentate grazie al principio della “sovranità fiscale nazionale”.
Un passo indietro per la giustizia fiscale
Secondo il Financial Times, la decisione mina il più grande accordo fiscale globale degli ultimi 100 anni. La tassa minima del 15% sui profitti delle multinazionali, siglata nel 2021 per frenare l’elusione, rischia ora di diventare un progetto zoppo.
Cosa prevede l’accordo
La Global Minimum Tax obbliga i gruppi multinazionali a versare una tassa integrativa se l’imposizione effettiva in un Paese è inferiore al 15%. Ma gli Usa non l’hanno mai applicata. Ora il compromesso raggiunto al G7 consente a Washington di evitare ritorsioni sui propri investimenti, in cambio di una nuova intesa da discutere in sede Ocse.
Big Tech al riparo (di nuovo)
Con le esenzioni in vista, le Big Tech americane potrebbero risparmiare fino a 100 miliardi di dollari. Intanto, resta aperta anche la partita sulla tassazione dei servizi digitali, altro fronte caldo in cui gli Usa spingono per proteggere i propri colossi.
Presi per il PIL
Come ‘quoted business’ aveva anticipato nei giorni scorsi nel post La Casa Bianca: “L’aumento dei dazi a luglio potrebbe essere rinviato”. Ma a quale costo per l’Ue?, nella trattativa con gli Usa è entrata in gioco anche l’imposizione fiscale sulle multinazionali, segnando un’altra vittoria per il governo statunitense che in pochi giorni ha ottenuto l’impegno europeo ad acquistare più energia fossile, armi (in virtù del noto 5%), e auto. Già così sarebbe stato un bel risultato per Washington. Ma visto che l’appetito viene mangiando, è poi arrivata la ciliegina sulla torta: ovvero l’affossamento dell’accordo raggiunto in ambito Ocse quatto anni fa su una forma di tassazione minima per le multinazionali.