The Guardian: “Smettiamola di prenderci in giro, non siamo più un Paese ricco. Il Regno Unito è fallito”

Il durissimo attacco del quotidiano britannico: a livello internazionale, il Regno Unito non è più uno Stato creditore e ormai dipende dalla “gentilezza degli estranei” per sostenere la sterlina; Il debito pubblico è triplicato in 20 anni, è a brevissimo termine e appare vulnerabile all’aumento dei tassi di interesse e dei prezzi al consumo; e, a fronte di tutto questo indebitamento, la Gran Bretagna è paradossalmente diventata più povera. Il paziente inglese sta male

The Guardian: “Smettiamola di prenderci in giro. Il Paese Unito è fallito”

Il Regno Unito è con le spalle al muro come mai si era verificato nella sua storia in tempo di pace. In tutte le altre crisi finanziarie (in particolare quelle valutarie del 1931, 1949, 1976 e 1992), la Gran Bretagna - che nel 2023 passerà dalla quinta alla sesta economia al mondo (superata dall’India) - ha sempre trovato una via d’uscita stringendo la cinghia e svalutando la sterlina all'interno di una struttura di relazioni commerciali considerate sicure. Per lungo tempo, le attività internazionali avevano superato di gran lunga le passività. Il debito pubblico era gestibile, ancorato ad obbligazioni a lungo termine. L’industria era ancora abbastanza potente. Poi, quando scoppiò la crisi finanziaria nel 2007/8, il basso debito pubblico aveva consentito al Paese di salvare le sue banche.

Niente di tutto ciò è vero oggi. Il Regno Unito ha vissuto troppo a lungo al di sopra dei propri mezzi. A livello internazionale, ora non è più uno Stato creditore e ormai dipende dalla “gentilezza degli estranei” - come disse l’ex governatore della Banca di Inghilterra Mark Carney - per sostenere la sterlina, visto che le passività superano ampiamente le attività. La nostra base industriale in declino produce disavanzi permanenti delle partite correnti, che dal 2000 ad oggi, cumulativamente, hanno superato la cifra di 1,5 trilioni di sterline: piuttosto che stringere la cinghia, abbiamo scelto di indebitarci e vendere i nostri beni agli stranieri in grandi quantità tale da poter mantenere determinati standard di vita. Ma l’Impero britannico si è definitivamente dissolto e l’Ue non è più vicina, in termini soprattutto commerciali, come un tempo.

Il debito pubblico è triplicato in 20 anni, salendo a oltre il 100 per cento del Pl. Non solo: è anche a brevissimo termine e vulnerabile all’aumento dei tassi di interesse e dei prezzi al consumo (un quarto di tutto il debito è espresso in obbligazioni indicizzate all’inflazione). Inoltre, il costo del debito vale quasi il 10 per cento di tutte le entrate fiscali: il più alto nel G7. Cosa significa? Che, se oggi scoppiasse una nuova crisi finanziaria, non sarebbe così facile salvare il sistema bancario senza pagare gravi conseguenze.

Il punto, paradossale, è che a fronte di tutto questo indebitamento, la Gran Bretagna è diventata più povera: la produttività e la crescita sono modeste. Un bambino su tre vive in povertà. I redditi medi pro-capite sono inferiori alla maggior parte dei Paesi occidentali. C’è poi il fattore Londra. Come messo in luce in un’analisi di John Burn Murdoch pubblicata sul Financial Times, escludendo la crescita economica realizzata nella capitale, il Pil pro-capite nel resto del Regno Unito resta al di sotto dello Stato più povero degli Stati Uniti, il Mississippi.

Sarebbe meglio se la Gran Bretagna ripartisse da questi dati, prendendo consapevolezza del fatto che occorre fare qualcosa di nuovo: spetta a un Paese ricco ma in declino iniziare a costruire una rete di istituzioni e politiche dedicate allo sviluppo. E, nel frattempo, sperare che non si crei una crepa nel mercato immobiliare, una crisi nei mercati finanziari, oppure un’altra crisi energetica.

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