
Ubs oggi gestisce oltre 1.500 miliardi di dollari di asset e 745 miliardi di depositi, mentre il Pil svizzero vale 934 miliardi. In caso di crisi, salvarla sarebbe quasi impossibile per le casse federali.
Per questo il governo elvetico spinge per rafforzarne il capitale, ma la banca si oppone, temendo costi troppo alti e minore competitività.
Il salvataggio che ha cambiato tutto
Nel marzo 2023 Ubs ha comprato Credit Suisse, travolta da scandali (Greensill, Archegos, i “tuna bond” in Mozambico) e da un tracollo in Borsa.
Con l’appoggio dello Stato e della Banca nazionale svizzera, Ubs ha acquisito la rivale per 3 miliardi di franchi, evitando un disastro sistemico e senza costi per i contribuenti.
Le colpe della vigilanza e i conti truccati
Una Commissione parlamentare d’inchiesta ha però rivelato che la Finma, l’autorità di vigilanza, sapeva da anni della fragilità di Credit Suisse, ma ha concesso nel 2017 un “filtro” contabile che ha nascosto un buco da 15 miliardi di franchi.
Senza quell’espediente, la banca sarebbe stata sottocapitalizzata già dal 2019.
Lo scontro di oggi: chi paga per evitare un nuovo disastro
Ora Berna vuole che Ubs aumenti drasticamente il capitale delle sue controllate estere, per evitare un altro caso Credit Suisse.
La banca stima che le nuove regole le costerebbero fino a 24 miliardi di dollari, frenando dividendi e buyback e indebolendo la competitività rispetto ai colossi Usa.
Il rischio fuga (e l’ombra di Wall Street)
Il Ceo Sergio Ermotti avverte: “Non possiamo restare competitivi se le regole non lo sono”.
Secondo alcune testate, Ubs potrebbe persino valutare di lasciare la Svizzera per trasferirsi in Paesi più “amici delle banche”, come gli Stati Uniti.
Il dilemma di Berna resta aperto: proteggere il sistema o non frenare il suo campione globale.