La causa dell’attuale esplosione dell’inflazione non è economica. Bensì politica

Una strategia lunga mezzo secolo, guidata da grandi aziende, Wall Street, governi e banche centrali, sta andando in frantumi mettendo l’Occidente di fronte a una scelta difficile: spingere verso il fallimento i grandi conglomerati e in alcuni casi gli Stati o rinunciare al tentativo di tenere per quanto possibile l’inflazione sotto controllo?

La causa dell’attuale esplosione dell’inflazione non è economica

L’interruzione delle catene di approvvigionamento incentrate sulla Cina ha chiaramente giocato un ruolo significativo, così come l’invasione russa dell’Ucraina. Ma nessuno dei due fattori spiega il brusco ‘cambio di regime’ del capitalismo occidentale dalla deflazione prevalente al suo opposto: tutti i prezzi stanno decollando simultaneamente. Ciò richiederebbe che il tasso di crescita dei livelli salariali sia superiore all’inflazione dei prezzi al consumo, ma potrebbe provocare (anche se su questo punto non tutti gli economisti sono d’accordo) provocando così una spirale che si autoalimenta, con aumenti salariali che si ripercuotono in ulteriori aumenti dei prezzi che, a loro volta, provocano un nuovo aumento delle retribuzioni.

Ma, oggi, proporre ai lavoratori di rinunciare agli aumenti salariali appare una richiesta insensata. A differenza degli anni ‘70, i salari stanno salendo molto più lentamente dei prezzi, eppure l’aumento dei prezzi non solo continua, ma sta accelerando. Allora, cosa sta succedendo davvero? In molti liquidano la faccenda argomentando che si tratta in Europa di un’inflazione da offerta, e non da domanda. Ma secondo l’economista Yanis Varoufakis c’è dell’altro.

E, in particolare, “un gioco di potere lungo mezzo secolo, guidato da grandi aziende, Wall Street, governi e banche centrali, è andato storto. Di conseguenza, le autorità occidentali ora devono affrontare una scelta difficile: spingere i conglomerati e persino alcuni Stati verso il fallimento o lasciare che l’inflazione non sia tenuta sotto controllo?”.

Per 50 anni, l'economia statunitense ha sostenuto le esportazioni nette di Europa, Giappone, Corea del Sud, poi Cina e altre economie emergenti, mentre una parte dei profitti delle società estere che hanno venduto i loro prodotti e servizi negli Usa è confluita verso Wall Street. Sulla scia di questo tsunami di capitali diretti negli Usa, enormi piramidi di denaro privato (soprattutto in forma di option e derivati) hanno consentito le opere dei grandi conglomerati aziendali. Quando poi il crollo del 2008 ha distrutto queste piramidi, l’intero labirinto finanziarizzato delle catene di approvvigionamento just-in-time globali è stato messo in pericolo.

Per salvare non solo i banchieri, ma anche il labirinto stesso, i banchieri centrali sono intervenuti per sostituire le piramidi messe su dagli operatori finanziari con denaro pubblico. Nel frattempo, i governi stavano tagliando la spesa pubblica, i posti di lavoro e i servizi erogati alla cittadinanza. In chiave marxista si potrebbe riassumere il tutto come una forma di socialismo per il capitale e una dura austerità per il (fattore) lavoro.

È a tutti gli effetti un nuovo gioco di potere. La tradizionale lotta tra capitale e lavoro per aumentare le rispettive quote di reddito totale attraverso ricarichi e aumenti salariali è continuata, ma non era più la fonte della maggior parte della nuova ricchezza. Dopo il 2008, l’austerità applicata diffusamente su base globale ha prodotto bassi investimenti (domanda di moneta), che, combinati con l’abbondante liquidità della banca centrale (offerta di moneta), hanno mantenuto il prezzo del denaro (tassi di interesse) vicino allo zero. Con la capacità produttiva in declino, pochi (buoni) posti di lavoro e salari stagnanti, la ricchezza ha trionfato nei mercati azionari e immobiliari, che si erano nel frattempo disaccoppiati dall’economia reale.

Poi è arrivata la pandemia, che ha cambiato un aspetto non di poco conto: secondo Varoufakis, i governi occidentali sono stati costretti a convogliare alcuni dei nuovi fiumi di denaro erogati dalle banche centrali verso i settori dell’economia in difficoltà, che, nel corso dei decenni, erano ormai prossimi all’esaurimento della loro capacità produttiva e, al contempo, erano alle prese della rottura delle catene di approvvigionamento sballate. Poco dopo, i prezzi hanno cominciato a salire, mettendo in difficoltà il gioco di potere che ha plasmato il mondo post-2008. La domanda alla quale neanche Varoufakis azzarda una risposta è: cosa succede ora?

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