Il nuovo spread da 2.900 punti che spaventa l’Eurozona

Il differenziale tra i prezzi alla produzione e i prezzi al consumo ha raggiunto livelli esorbitanti nell’Eurozona

Il nuovo spread da 2.900 punti

La differenza di rendimenti tra i titoli di Stato dei Paesi più indebitati (Italia, Grecia e Portogallo su tutti) e il bond governativo più sicuro dell’Eurozona, il Bund tedesco. È la definizione dello spread. Un aumento eccessivo dello spread rischia di causare problemi, in particolare, per i paesi finanziariamente più fragili.

C’è però un altro spread che potrebbe rappresentare una preoccupazione ancora più rilevante per l’Eurozona. Si tratta del differenziale tra i prezzi alla produzione (pagati dalle imprese) e i prezzi al consumo (il costo dei beni e servizi al dettaglio). Possiamo definire i primi come una sorta di ‘inflazione a monte’, i secondi come ‘inflazione a valle’.

L’attuale eccezionale scenario economico sta facendo lievitare tanto i prezzi al consumo (8,1% nell’Eurozona a maggio, livello mai raggiunto nell’esperienza poco più che ventennale della moneta unica) quanto, e molto di più, i prezzi alla produzione che nell’ultima rilevazione di aprile sono saliti al record del 37,2%. Di conseguenza lo spread tra i due valori è di 2.900 punti base (29 punti percentuali). Il punto è che buona parte dell’inflazione a monte sarà probabilmente trasferita nei prossimi mesi nei prezzi a carico dei consumatori.

Il dato europeo assume ancora più valore se lo si mette a confronto con gli Stati Uniti dove i prezzi alla produzione sono al 10,8% e l’inflazione a carico dei cittadini consumatori all’8,6%, evidenziando che l’Eurozona corre rischi più seri rispetto agli Usa di dover affrontare le sabbie mobili della stagflazione (ovvero il mix letale di alta inflazione e bassa crescita).

Un alert che vale soprattutto per l’Italia. Ad esempio, il nostro è stato l’unico Paese tra quelli dell’Eurozona ad aver registrato nel 2021 dei veri aumenti dei prezzi alla produzione, la cui stabilità dipende dal consolidamento dell’intensità tecnologica degli investimenti e, ovviamente, dal contenimento del costo del lavoro in generale, ma la crescita italiana dei prezzi alla produzione dello scorso anno sembrerebbe proporzionale alla bassa intensità tecnologica degli investimenti. Giusto per ricordare che il problema italico non è poi così legato alla contingenza.

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