Inflazione, le responsabilità della Bce sono evidenti. Ma Francoforte nega

La Banca centrale europea nega di assumersi qualsiasi responsabilità rispetto all’impennata dell’inflazione nell’Eurozona, puntando il dito contro il Covid-19 e Vladimir Putin. Ma ci sono buone ragioni per ritenere che la Bce abbia contribuito in modo significativo all’aumento dei prezzi, anche per l’energia

Inflazione, le responsabilità della Bce sono evidenti. Ma Francoforte nega
La sede della Bce a Francoforte

Nell’Eurozona l’inflazione è al galoppo, mentre l’euro crolla. Ad agosto, per esempio, il livello dei prezzi al consumo su base annuale nei 19 Paesi ha raggiunto il 9,1%. Nei paesi baltici la percentuale è schizzata oltre il 20%. La perdita di fiducia nell’euro mette a rischio la stabilità dell’Unione monetaria, perché può alimentare una spirale inflazionistica e portare alla fuga di capitali. Il Regno Unito è attualmente alle prese con queste dinamiche e l’Eurozona potrebbe essere la prossima ad essere colpita.

Le notizie provenienti in particolare dalla prima economia europea non sono rassicuranti. Ad agosto, i prezzi alla produzione sono saliti del 46% rispetto allo stesso mese dell'anno scorso. Data la correlazione a lungo termine tra il tasso di crescita dei prezzi alla produzione e al consumo, ciò suggerisce che questi ultimi potrebbero salire al 14% a novembre. 

Eppure, la stabilità dei prezzi dovrebbe essere l’obiettivo imprescindibile della Bce. Francoforte intanto rifiuta di assumersi qualsiasi responsabilità; dopotutto, non poteva controllare la pandemia o la decisione del presidente russo Vladimir Putin di invadere l’Ucraina. Ma indicare questi eventi esogeni è in realtà una tattica diversiva. 

In effetti, vi sono buone ragioni per ritenere che la Bce abbia contribuito in modo significativo all’inflazione corrente, probabilmente anche più di quanto abbiano fatto altre banche centrali nelle rispettive economie.

Dalla crisi economica globale del 2008, l’offerta di moneta della Banca centrale europea è aumentata due volte più velocemente, rispetto alla produzione economica, in riferimento alla Federal Reserve statunitense. Di tale crescita, l’83% è stato il risultato degli acquisti da parte della Bce di titoli di Stato dai paesi dell’Eurozona. Con quegli acquisti – per un totale stimato di 4,4 trilioni di euro – la Bce ha spinto i tassi di interesse sui titoli di Stato intorno allo zero. Ciò ha indotto i paesi a trascurare le regole europee sul debito.

Nel 2020 la Commissione europea si è unita alla Bce, promuovendo politiche economiche espansive. I 750 miliardi di euro di prestiti aggiuntivi dell’Ue sono stati presentati come uno sforzo per aiutare tutti i paesi membri a far fronte agli effetti della pandemia di Covid-19; in realtà erano destinati principalmente a sostenere le economie più deboli della regione mediterranea. Come risultato di queste misure, il debito pubblico complessivo dell’Ue è andato ben oltre il 100% del Pil.

Poiché il debito pubblico aumenta la domanda aggregata, ciò ha avuto un chiaro impatto sull’inflazione. Mentre le strozzature della catena di approvvigionamento legate alla pandemia e la crisi energetica indotta dalla guerra in Ucraina sono state le scintille, il debito sovrano è stata l’esca. Senza di essa, il fuoco dell’inflazione non si sarebbe diffuso a un ritmo così rapido.

La Bce ha ulteriormente contribuito alle pressioni inflazionistiche indebolendo l’euro. Mentre la Fed ha iniziato a inviare segnali chiari nel giugno 2021 che avrebbe iniziato ad aumentare i tassi di interesse nel prossimo futuro, la Bce ha difeso in modo aggressivo la sua politica monetaria ultra-espansiva fino a luglio 2022, quando ha attuato il suo primo aumento dei tassi in 11 anni, seguito da un aumento un po’ più consistente a settembre.

Di conseguenza, il differenziale dei tassi di interesse tra gli Stati Uniti e l’Eurozona ha continuato a gonfiarsi, spingendo gli investitori a fuggire in massa dall’Europa per l'America. Nelle tre settimane successive all’aumento del tasso di settembre, il dollaro è salito del 4% al di sopra della parità con l’euro. E, dal primo annuncio sul possibile aumento dei tassi da parte della Fed nel giugno 2021, il dollaro si è apprezzato di circa il 20% rispetto all’euro.

Nel frattempo, soprattutto i prezzi dell’energia sono saliti alle stelle. La sola rivalutazione del dollaro ha fatto aumentare del 25% i prezzi del petrolio espressi in euro, oltre all’aumento del prezzo in dollari dovuto alla carenza di approvvigionamento. Anche i prezzi del gas naturale hanno risentito della rivalutazione. 

La Bce ha cercato di discolparsi sottolineando che l’aumento dei prezzi dell’energia rappresenta un terzo dell’inflazione europea, ma deve ancora riconoscere la propria responsabilità connessa al suo ruolo nel guidare il deprezzamento dell’euro. Nel ricercare le cause sull’aumento dell’inflazione nell’Eurozona, infatti, la Bce condivide la colpa con Putin e l’Opec.

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