Chi inquina paga. L’idea della Merkel tradita dai pool assicurativi

La Germania capofila di un senso di responsabilità sul cambiamento climatico. I paesi più inquinanti paghino i paesi che subiscono eventi atmosferici estremi. Ma il sistema riparatorio, basato sulle compagnie assicurative, mostra limiti enormi, se non un vero business dei disastri

Chi inquina paga. L’idea della Merkel tradita dai pool assicurativi

Uragani, siccità, alluvioni. E naturalmente surriscaldamento e innalzamento del livello del mare. Ormai il cambiamento climatico, in ognuna delle sue possibili declinazioni, è in prima pagina quasi ogni giorno. Ed è conseguentemente ai primi posti nell'agenda di incontri o summit mondiali, come – da ultimo – il COP24 di Katowice. Il tema principale è, in ambo i casi, il “come” combattere il riscaldamento globale, e “in che tempi” realizzare determinati progressi. In quegli stessi vertici internazionali c'è però un tema-corollario che al momento non conquista l'attenzione delle opinioni pubbliche ma che sempre più sta acquisendo peso specifico. E peso monetario. Si tratta dei danni, di proporzioni sempre più drammatiche, causati dal clima impazzito. Chi li paga?

Tutto è nato in un'altra Conferenza delle Parti, immediatamente precedente al COP24 polacco. Nell'ambito del COP23 di Bonn, la padrona di casa, Angela Merkel, per la prima volta mise sul tavolo un argomento accolto da molti degli altri commensali con sorrisi di circostanza. Il concetto della Cancelliera era: “Siamo noi, paesi industrializzati ad aver prodotto la maggior parte dell'inquinamento – causa prima dell'effetto serra – e quindi siamo noi a dover pagare i danni nei confronti dei paesi più poveri e più vulnerabili ai disastri, che non hanno goduto della rivoluzione industriale”. E la Merkel, dopo averne teorizzato la ragione fondante, volle anche definirne l'attuazione concreta: il sistema dell'assicurazione.

Si chiama InsuResilience Global Partnership e il meccanismo è apparentemente semplice e coerente con le intenzioni: paesi a rischio climatico ad economia meno sviluppata potranno assicurarsi e i paesi avanzati, su base volontaria, metteranno i soldi. A gestirli saranno - sono - operatori competenti nel settore, quindi compagnie assicurative riunite in pool risk, in cui si mutualizza il rischio del pagamento di ingenti somme a seguito di catastrofi naturali. Sono nati molti consorzi assicurativi regionali. E i dati diffusi da Deutsche Welle, su elaborazione del ricco Emergency Events Database (EM-DAT) alzano per la prima volta il velo su un fenomeno molto diverso dai buoni obbiettivi iniziali.

Pur avendo gli Stati interessati aderito alle maxi-polizze assicurative per una ampia copertura, non tutte le catastrofi legate ad eventi estremi di maltempo hanno poi prodotto pagamenti, adeguati o meno che fossero. Indipendentemente dal valore dei risarcimenti, infatti, nei Caraibi a fronte di 88 eventi, i pool assicurativi hanno pagato per 40. In Africa e le isole del Pacifico le cose sono andate anche peggio, con pagamenti per solo un terzo degli eventi. Se poi si considera, appunto, la quota dei rimborsi, il quadro peggiora ulteriormente: nessun paese che aveva pagato il premio richiesto, ha ottenuto più del 10% dei costi per i danni subiti. E un paese importante come il Kenia, a fronte di molti casi di siccità senza l'attribuzione di un solo dollaro, ha deciso di non rinnovare il premio.

Se ancora non emergono casi lampanti di malaffare e illecito arricchimento delle compagnie assicurative coinvolte, quel che appare evidente è il malfunzionamento del sistema complessivo. Il problema è proprio insito nel meccanismo. A differenza di quanto accade, per esempio, per una normale copertura RC Auto, in cui il risarcimento viene saldato solo dopo la verifica dei danni, l'InsuResilience funziona al contrario: c'è subito una erogazione – per garantire una giusta e veloce liquidità a paesi in grave difficoltà - ma il pagamento avviene su tabelle prestabilite dei fenomeni atmosferici. E cioè, per esempio, sulla velocità del vento o la quantità di pioggia caduta (o non caduta). Una metodologia apparentemente obbiettiva, che invece causa forti distorsioni: cospicue risorse attribuite a paesi che non hanno subito danni “effettivi” gravi e, invece, risorse limitate, o addirittura zero liquidità, a comunità sconvolte da fenomeni solo sulla carta di minor pericolosità.

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su LA STAMPA

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