I francesi (e persino i tedeschi) protestano. Gli italiani, che sono quelli messi peggio, “zitti e buoni”

Se dai francesi è normale attendersi dure ed estenuanti mobilitazioni, non può dirsi altrettanto per i vicini tedeschi. Eppure, nella prima economia europea è stato indetto un mega sciopero e le organizzazioni sindacali chiedono aumenti salariali superiori al 10%. In tale quadro si inserisce l’immobilismo dell’Italia.

Francesi e tedeschi protestano, gli italiani “zitti e buoni”

A causa delle massive proteste in Francia contro la riforma delle pensioni (approvata senza il voto del Parlamento applicando l’articolo 49.3 della Costituzione), il cui punto principale prevede l’aumento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni, la visita di re Carlo III in Francia è stata rinviata.

La situazione rischia di diventare seria a Parigi e in altre città. La porta di ingresso del municipio di Bordeaux, nel sud ovest del Paese, è stata data alle fiamme. Nella sola notte tra giovedì e venerdì 457 persone sono state fermate e si registrano anche 441 feriti nelle forze dell'ordine. In oltre 300 città, sono stati circa 1.089.000 i manifestanti secondo il ministero dell’Interno.

Non è finita qui. Le organizzazioni sindacali hanno indetto un’altra giornata di mobilitazione per martedì 28 marzo. Segno che, come ci hanno abituato i francesi, le proteste sono destinate a proseguire. Si vedrà nei prossimi giorni fino a che punto.

Ma se dai francesi è normale attendersi dure ed estenuanti mobilitazioni, non può dirsi altrettanto per i vicini tedeschi. Eppure, nella prima economia europea è stato indetto un mega sciopero dei trasporti pubblici per il 27 marzo. Le organizzazioni sindacali chiedono aumenti salariali superiori al 10% per tamponare l’impatto inflattivo.

Quella annunciata è una mobilitazione quasi senza precedenti in Germania: un caso simile risale infatti a circa trenta anni fa, quando nella primavera del 1992 un grande sciopero portò centinaia di migliaia di dipendenti del settore ad astenersi dal lavoro per diverse settimane.

In tale quadro si inserisce l’immobilismo dell’Italia. Sebbene la terza economia europea sia l’unica, in ambito comunitario, ad aver visto il livello medio dei propri salari scendere rispetto agli ultimi tre decenni, il dibattito sui possibili aumenti retributivi nel nostro Paese, incastrato negli interessi di tanti piccoli e grandi blocchi categoriali di potere, semplicemente non c’è. Però se si annunciassero, ad esempio, sette o quattordici giorni di sciopero consecutivi, qualcosa accadrebbe? Ai posteri l’ardua sentenza.

Il punto è che gli italiani sembrano, paradossalmente, accettare i timori lanciati dalle banche centrali sulla spirale prezzi-salari: tedeschi e francesi se ne infischiano e dimostrano, invece, di aver capito, che se in queste fasi non si ottengono incrementi salariali, la probabilità che il tenore di vita anche dopo la fine della crisi di turno diminuisca è molto alta.

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