La Bce boccia la tassa sugli extra-profitti delle banche (danneggia la fiducia e aumenta l’incertezza)

Pur considerando il fatto che alcune critiche sollevate dalla Bce paiono effettivamente fondate, questo parere rappresenta forse un’occasione persa per l’Eurozona. Francoforte avrebbe potuto optare per suggerire la rimodulazione della misura e invitare gli altri membri dell’Eurozona ad introdurre una tassazione simile. Dopotutto, non era stata la Bce ad evidenziare recentemente la necessità di interventi di politica fiscale per uscire dall’attuale fase di alta inflazione?

La Bce boccia la tassa sugli extra-profitti delle banche
La sede della Bce a Francoforte

La Banca centrale europea riempie di critiche la bozza della tassa sugli extraprofitti bancari legati al rialzo dei tassi di interesse. “L'imposta straordinaria può rendere più costoso per le banche attrarre nuovo capitale azionario e finanziamento all'ingrosso, in quanto gli investitori nazionali ed esteri potrebbero avere meno interesse a investire in enti creditizi italiani che hanno prospettive più incerte”. È uno dei punti affrontati nel parere della Bce sulla tassa sugli extraprofitti della banche (che prevede un’aliquota del 40 per cento sull’incremento superiore al 10 per cento del margine di interesse delle banche italiane del 2023 rispetto al 2022). Ecco i principali punti nodali sollevati da Francoforte.

Non misura gli effetti del rialzo dei tassi sull’intero ciclo economico. “L’effetto netto di una politica monetaria più restrittiva sulla redditività delle banche misurato sull’intero ciclo di definizione delle politiche può pertanto essere meno positivo, se non negativo, su un orizzonte temporale esteso”.

L’imposta straordinaria rischia di incidere sulla capacità dei singoli enti creditizi. “poiché la determinazione dei destinatari dell’imposta straordinaria si basa anche sul reddito netto da interessi nel 2023, tali enti creditizi possono registrare utili o perdite inferiori nel momento in cui l’imposta è effettivamente riscossa. Occorre prestare cautela per garantire che l’imposta straordinaria non incida sulla capacità dei singoli enti creditizi di costituire solide basi patrimoniali e di effettuare adeguati accantonamenti per maggiori svalutazioni e un deterioramento della qualità creditizia”.

Il problema delle riserve supplementari di capitale. Come fatto con le imposte spagnole e lituane sulle banche, la Bce rimarca che “imporre un’imposta straordinaria al settore potrebbe rendere più complicato per gli enti creditizi accumulare riserve supplementari di capitale in quanto i loro utili non distribuiti si ridurrebbero, e ciò diminuirebbe la loro capacità di tenuta di fronte a shock economici”, limitando la capacità degli enti di erogare credito.

Natura una tantum dell’imposta. Mentre “la Bce ha raccomandato in precedenza che è necessaria una chiara separazione tra la natura straordinaria dei proventi e le risorse di bilancio generali di un governo per evitarne l’uso a fini generali di risanamento di bilancio”.

Rischi sulla stabilità degli istituti. “In una prospettiva di lungo periodo, tassi di interesse più elevati possono incidere negativamente sulla situazione finanziaria dei beneficiari di prestiti, aumentando così il rischio di credito. Tali effetti non sono presi in considerazione nel concepire l’imposta straordinaria, in quanto quest’ultima è calcolata sul margine di interesse netto e non sugli utili netti”.

Maggiori costi di finanziamento. “L’imposta straordinaria può rendere più costoso per le banche attrarre nuovo capitale azionario e finanziamento all’ingrosso, in quanto gli investitori nazionali ed esteri potrebbero avere meno interesse a investire”.

Vigilanza prudenziale. Nella parte finale del parere si sollevano i timori per la vigilanza prudenziale che la Bce effettua sui maggiori istituti europei. Il principale riguarda i “rischi di frammentazione del sistema finanziario europeo a causa della natura eterogenea di tali imposte”; sia per il fatto che i gruppi che operano tramite succursali estere siano sottoposti a una “doppia imposizione”.

Ricade sugli enti meno rilevanti. Un rischio collegato è che “l’imposta straordinaria inciderà in particolar modo sugli enti meno significativi, che tendono a concentrarsi maggiormente sull’erogazione del credito”. Per questo “l’ammontare dell’imposta straordinaria potrebbe non essere commisurato alla redditività a più lungo termine di un ente creditizio e alla sua capacità di generare capitale”.
Il tetto massimo dell’imposta (posto allo 0,1% delle attività totali relative all’esercizio finanziario 2022) è incerto. “Non è del tutto chiaro se la nozione di attività totali si riferisca allo stesso perimetro utilizzato per il calcolo dell’imposta oppure se si riferisca alle attività totali a livello consolidato”.

Pur considerando il fatto che alcune critiche sollevate dalla Bce paiono effettivamente fondate (altre meno, come quella correlata al problema delle riserve supplementari di capitale, visto che gli istituti di credito non sembrano evidenziare problemi di bilancio quantomeno in questa fase), questo parere rappresenta forse un’occasione persa per la Bce. Francoforte avrebbe potuto optare per suggerire la rimodulazione della misura (chiedendo al governo italiano di includere alcuni rilievi nella norma) e, allo stesso tempo, invitare gli altri membri dell’Eurozona ad introdurre una tassazione simile. Dopotutto, non era stata la Bce ad evidenziare recentemente la necessità di interventi di politica fiscale?

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