Aggirare le censure della rete in Iran sarebbe possibile (se le Big Tech lo volessero)

Il sistema del ‘domain fronting’, dismesso nel 2008 da Google, Microsoft e Amazon per non perdere il mercato russo dopo il ricatto di Putin, potrebbe essere rapidamente riattivato

Aggirare le censure della rete sarebbe possibile
Fahimeh Karimi, condannata a morte dal regime iraniano

Il silenzio digitale dall’Iran stende un velo su quanto sta avvenendo nel paese asiatico. Nonostante la censura, i blocchi, il controllo asfissiante del regime di Ebrahim Raisi, qualcuno riesce comunque a connettersi. Eppure, è un silenzio che le big tech potrebbero interrompere.

Nei giorni scorsi c’è stato un incontro alla Casa Bianca fra lo staff presidenziale e Elon Musk. All’ordine del giorno: come attivare Starlink anche in Iran, dopo averlo fatto in Ucraina. L’operazione non è semplice. Perché anche se fosse possibile lanciare migliaia di mini satelliti, poi per connettersi a Starlink gli utenti finali avrebbero bisogno di una parabola. Che nessuno può acquistare in Iran.

A fare qualcosa ci ha provato pure Google sostenendo una rete VPN. La rete si chiama Outline, una delle tante che nasconde il traffico on line, utilizzando una connessione crittografata. Ma per connettersi a quella rete occorre prima sapere a quale nodo proxy collegarsi. E quelle informazioni sono state rese pubbliche sui social tradizionali, subito oscurati dal regime iraniano.

Eppure si potrebbe fare di più. Esistono tante altre reti VPN che consentirebbero una navigazione anonima. E che gli attivisti digitali stanno provando ad allestire. Ma anche in questo caso si va a sbattere contro il governo di Teheran. Ma c’è un’altra possibilità: il ‘domain fronting’. Una tecnica che permetterebbe di nascondere i domini. Come se si spedisse una cartolina a casa di qualcuno, ad un indirizzo qualsiasi. Al momento della consegna della posta, però, sul posto c’è “un incaricato” che prende la cartolina e la porta alla destinazione desiderata.

Il ‘domain fronting’ era utilizzato negli hosting cloud di Google, Amazon, Microsoft. Poi, nel 2018, non se n’è fatto più nulla su richiesta della Russia, che aveva posto come condizione la fine del ‘domain fronting’ affinché i colossi americani potessero continuare ad operare a Mosca. Alla luce delle mutate condizioni geopolitiche, lo strumento potrebbe tuttavia essere ora rapidamente riattivato. A quel punto l’unico modo per fermare i ‘domain fronting’ sarebbe oscurare i web hosting utilizzati, il che comporterebbe però un blocco a catena, che arriverebbe a fermare anche infrastrutture mondiali che anche i dirigenti del regime iraniano utilizzano. Ma per gli oligopolisti digitali è forse meglio restare a guardare. Su consiglio di Putin. 

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