
L’Italia continua a distinguersi nei settori tradizionali — come meccanica, trasporti e manifattura — ma resta indietro nei campi che stanno definendo il futuro: digitale, biotecnologie e Intelligenza Artificiale.
È quanto emerge dalla quinta edizione della Relazione sulla Ricerca e l’Innovazione in Italia, presentata recentemente a Roma e realizzata da tre istituti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) con il contributo dell’Area Studi Mediobanca.
Brevetti in fuga e dipendenza dall’estero
La Relazione fotografa un fenomeno sempre più evidente: la fuga delle grandi imprese italiane verso l’estero.
Un’emorragia che non solo riduce la capacità di generare innovazione “made in Italy”, ma aumenta anche la dipendenza tecnologica del Paese da brevetti controllati da soggetti stranieri.
Il rischio, sottolineano gli esperti, è quello di “una marginalizzazione strutturale” nei settori a più alto valore aggiunto.
Europa: l’Italia in coda, Danimarca e Spagna corrono
L’analisi — basata sui brevetti registrati presso l’Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti (USPTO) tra il 2002 e il 2022 — mostra che l’Italia ha registrato la crescita più bassa in Europa, insieme alla Germania.
Nello stesso periodo, Spagna e Danimarca hanno fatto registrare performance record.
Sul fronte dei brevetti pro-capite, il podio europeo è guidato da Svizzera, Svezia e, dal 2022, proprio dalla Danimarca. L’Italia si colloca poco sopra la Spagna.
Italia specializzata dove l’innovazione pesa meno
Il confronto internazionale evidenzia un altro dato: l’Italia concentra la propria attività brevettuale in settori a bassa intensità innovativa, come imballaggio, logistica e trasporti, trascurando le tecnologie in rapida espansione.
Nel digitale, ad esempio, la quota italiana rimane stagnante — o in lieve calo — nonostante la crescita esplosiva del comparto a livello globale.
Una distanza che si traduce in minore competitività industriale e in una scarsa presenza nei mercati emergenti.
Università e ricerca pubblica: una luce nel quadro
C’è però anche un segnale incoraggiante. Negli ultimi anni, università e centri di ricerca italiani hanno assunto un ruolo sempre più rilevante nel campo dei brevetti, soprattutto nei settori ad alta intensità di conoscenza.
Il Politecnico di Milano è l’istituzione accademica italiana con il maggior numero di brevetti registrati negli USA, seguito da CNR, Università di Bari, Università di Bologna e Sapienza di Roma.
Un cambio di passo che mostra come la ricerca pubblica possa diventare motore di innovazione — se sostenuta da politiche industriali coerenti e stabili.
Un futuro ancora da brevettare
Il ritardo italiano nel digitale e nell’IA non è solo tecnologico, ma anche culturale. Serve una strategia nazionale che favorisca la collaborazione tra imprese e ricerca, incentivi l’innovazione brevettuale e riduca la fuga dei talenti e delle aziende. Solo così l’Italia potrà tornare a essere protagonista nella nuova geografia globale dell’innovazione.


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