
Globalizzazione e ascesa della Cina hanno colpito duramente le economie occidentali. Eppure, mentre negli Stati Uniti la reazione è stata segnata da risentimento e protezionismo, in Europa è prevalsa un’apertura cauta. Perché? La risposta sta nelle istituzioni, nel welfare e nel modo in cui si racconta il cambiamento economico.
Usa: il libero scambio come nemico
Negli Stati Uniti, il libero scambio è diventato il bersaglio principale di una narrativa populista in crescita. Donald Trump ha cavalcato il malcontento delle ex aree industriali, attribuendo il declino della manifattura americana agli accordi commerciali, soprattutto con la Cina. Nonostante i dati mostrino che solo una piccola parte dei lavoratori è stata colpita direttamente, il racconto di una “globalizzazione cattiva” ha avuto presa su milioni di elettori.
Europa: meno paura, più resilienza
In Europa, invece, la percezione della globalizzazione è meno negativa. Nonostante la concorrenza cinese e il declino di alcuni settori manifatturieri, l’Ue ha mantenuto una narrazione più ottimista sul libero scambio. Merito anche delle esportazioni che, soprattutto in Germania, hanno generato nuovi posti di lavoro proprio nelle aree colpite dalla crisi.
Il peso della rete di sicurezza
Una differenza cruciale è il welfare. In Europa, lo Stato ha fornito ammortizzatori sociali più robusti, facilitando la transizione dei lavoratori. Negli Usa, invece, la scarsa protezione sociale ha reso i cambiamenti più traumatici, alimentando frustrazione e fenomeni come le “morti per disperazione”, legate a suicidi, droga e alcol.
Non solo economia: è questione di società
Il diverso approccio alla globalizzazione non è solo una questione economica. Riflette anche visioni opposte su istituzioni, coesione sociale e fiducia nelle politiche pubbliche. Capire queste dinamiche è essenziale per progettare risposte efficaci in un mondo sempre più instabile.