La chiave è lo scontro India-Cina. Non quello fra Washinton e Pechino

Il presidente cinese Xi Jinping ha trasformato un’India conciliante in un nemico a lungo termine. In un certo senso, l'espansionismo territoriale della Cina rappresenta una versione più accorta e più ampia della guerra russa contro l’Ucraina e potrebbe provocare una simile reazione internazionale contro l’agenda di Xi, rischiando di minare alla base lo sforzo del leader cinese di modellare un’Asia sino-centrica

La chiave è lo scontro India-Cina. Non quello fra Washinton e Pechino

Con l’attenzione globale focalizzata sulla guerra della Russia in Ucraina, il duello cruciale tra i due paesi più popolosi al mondo, Cina e India, sembra uscito dal radar della comunità internazionale. Eppure, nelle vaste alture glaciali dell’Himalaya, i titani demografici del mondo sono sul piede di guerra da oltre due anni e le possibilità di scontri violenti aumentano di giorno in giorno.

Tutto è iniziato nel maggio 2020, quando lo scongelamento del ghiaccio ha riaperto le vie di accesso dopo un inverno brutale: è a quel punto che l’India ha scoperto che l’Esercito popolare di liberazione cinese aveva occupato centinaia di miglia quadrate delle terre di confine nella regione indiana del Ladakh. Ciò ha scatenato una serie di scontri militari, che hanno provocato dal lato cinese i primi morti in combattimento in oltre quattro decenni e hanno innescato l'accumulo di truppe rivali più veloce di sempre nella regione himalayana.

I contrattacchi dell’India sono riusciti a respingere l’esercito di Pechino e le due parti hanno concordato di creare due zone cuscinetto. Ma a parte questo, negli ultimi 15 mesi sono stati fatti pochi progressi per disinnescare le tensioni lungo il confine. Così decine di migliaia di truppe cinesi e indiane sono ancora lì, segnalando uno stallo militare tra i due paesi asiatici.

Stallo tuttavia non vuol dire che il governo cinese sia rimasto a guardare. La Cina ha continuato a rimodellare il paesaggio himalayano rapidamente e profondamente a proprio favore, anche stabilendo 624 villaggi di confine militarizzati, rispecchiando la sua strategia fondata sulla creazione di isole militarizzate artificiali nel Mar Cinese Meridionale e costruendo nuove infrastrutture di guerra vicino alla frontiera.

Come parte di questo sforzo, la Cina ha recentemente completato un ponte sul lago Pangong (luogo di scontri militari in passato) che promette di rafforzare la sua posizione in un’area contesa della regione indiana del Ladakh. Ha anche costruito strade e installazioni di sicurezza sul territorio che appartiene al Bhutan, al fine di ottenere l’accesso a una sezione particolarmente vulnerabile del confine indiano che si affaccia su uno stretto corridoio noto come ‘Chicken Neck’.

Tutto questo, spera la Cina, le consentirà di dettare i termini all’India: accettare il nuovo status quo, con Pechino che mantiene il territorio che ha conquistato, o rischiare una guerra su vasta scala. La Cina ha imparato qualcosa dalla sua folle invasione del Vietnam nel 1979 ed è diventata abile nel condurre una guerra asimmetrica o ibrida, di solito al di sotto della soglia del conflitto armato palese. Ciò gli consente di far avanzare i suoi obiettivi strategici, compresi l’accaparramento delle terre, in modo incrementale.

Questa strategia lenta e inesorabile (come quando si affetta il salame) ha già permesso al presidente cinese Xi Jinping di ridisegnare la mappa geopolitica nel Mar Cinese Meridionale. E l’applicazione terrestre di questo approccio contro India, Bhutan e Nepal si sta rivelando altrettanto difficile da contrastare.

Una cosa è certa: la semplice speranza che la Cina smetta di invadere il territorio indiano non aiuterà New Delhi. Dopotutto, il secondo paese più popoloso al mondo è entrato in questa situazione proprio perché la sua leadership politica e militare non ha prestato attenzione alle attività militari della Cina vicino alla frontiera. Fino al paradosso che, nei cinque anni precedenti ai primi scontri divampati nel maggio 2020, Modi ha incontrato la sua controparte cinese 18 volte. E cercando di proteggere la sua immagine di leader forte, Modi non ha riconosciuto la perdita di territori indiani. Nel frattempo, il leader del Subcontinente ha permesso al surplus commerciale della Cina con l’India di aumentare rapidamente a tal punto che ora supera il bilancio totale della Difesa indiano (che il terzo più grande del mondo).

Tuttavia, Xi ha scelto una lotta di confine difficile da vincere e ha trasformato un paese conciliante, l’India, in un nemico a lungo termine. Ciò potrebbe tradursi in un errore di calcolo forse più grave delle valutazioni sbagliate di Modi. Il prezzo che la Cina rischia di pagare per l’errore di Xi potrebbe così superare di gran lunga i benefici di alcuni furtivi accaparramenti di terre.

In un certo senso, l’espansionismo territoriale della Cina rappresenta una versione più accorta e più estesa della guerra russa contro l’Ucraina e potrebbe provocare una simile reazione internazionale contro l’agenda di Xi. In effetti, l’aggressione della Cina ha già spinto le potenze indo-pacifiche a rafforzare le loro capacità militari e la loro cooperazione, anche con gli Stati Uniti. Tutto ciò rischia di minare alla base lo sforzo portato avanti da Xi di modellare un’Asia sino-centrica.

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