L’Italia nel 2053

Da quella che sarebbe potuta essere una moderna economia della conoscenza trainata dall’investimento, dalla ricerca e dai saperi tecnico-scientifici impiegati nella produzione di beni e servizi innovativi, a una stagnante economia della rendita.

Il Bel Paese nel 2053: come sarà?

Siamo nella torrida estate del 2053. Un turista indonesiano in visita a Firenze si affretta a rientrare nel suo appartamento affittato per 500 euro a notte. Ma inciampando si ferisce a una gamba. Due turisti italiani di passaggio, originari di Palermo ed emigrati in Germania, lo trasportano nella loro Volkswagen elettrica all’ospedale di Careggi, di proprietà del gruppo sanitario privato UnitedHealthcare. Al costo di 1000 euro, la ferita dell’infortunato viene curata tramite un robot progettato e costruito in Giappone.

Sembra la trama di un romanzo, ma anche uno spaccato plausibile di ciò che potrebbe essere l’Italia fra 30 anni. Un Paese in cui il reddito pro capite rispetto alla principale economia mondiale si è ridotto a meno della metà, in cui il tasso di disoccupazione giovanile si attesta al 50 per cento, in cui ogni anno emigrano 250 mila persone e in cui oltre la metà della popolazione ha più di 65 anni.

Da quella che sarebbe potuta essere una moderna economia della conoscenza trainata dall’investimento, dalla ricerca e dai saperi tecnico-scientifici impiegati nella produzione di beni e servizi innovativi, a una stagnante economia della rendita.

Il Made in Italy rimane confinato alla manifattura a basso valore aggiunto (quindi a bassi salari) o a nicchie di produzione nei settori dell’abbigliamento e del cibo (caratterizzati da bassi livelli di innovazione). Come avvenuto nel trentennio precedente (basti ad esempio guardare a quanto accaduto a due colossi come Fiat e Olivetti), nei successivi 30 anni la privatizzazione delle rimanenti grandi imprese a controllo pubblico, unita all’assenza di una politica industriale, ha comportato la chiusura delle produzioni aerospaziali, della cantieristica e dei semiconduttori.

Nel frattempo, il turismo internazionale ha stravolto la vita nei principali centri urbani: i prezzi degli affitti e delle case hanno raggiunto livelli insostenibili. I proprietari delle abitazioni vedono accrescere il proprio patrimonio, mentre si è azzerato l’incentivo a investire il capitale disponibile in attività imprenditoriali di rischio.

I pochi cittadini italiani rimasti sono obbligati a sottoscrivere un’assicurazione privata per la salute, mentre l’università pubblica è stata soppiantata da una gestione privata con rette così alte da obbligare gli studenti a indebitarsi per pagare il costo degli studi.

Eppure, si potrebbe invertire la rotta ripartendo dall’ottimismo della volontà di un noto personaggio italiano che nel 1961 sosteneva come “noi italiani dobbiamo toglierci di dosso questo complesso di inferiorità che ci hanno insegnato”, aggiungendo che “per fare questo è necessario studiare, imparare e conoscere i problemi”. Quel noto personaggio era Enrico Mattei.

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