Aprire un impianto richiede dai 5 ai 15 milioni di euro e fino a due anni di lavoro. Una sfida che non tutti possono permettersi.
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Made in Italy in fuga dai dazi: la corsa agli investimenti negli Stati Uniti. Per aggirare le tariffe volute da Trump, i grandi marchi italiani si preparano a produrre direttamente negli Usa. Ma aprire uno stabilimento costa caro, e non è un’impresa per tutti.
Investire negli Stati Uniti non significa solo mettere il piede sul mercato statunitense: vuol dire costruire da zero, tra burocrazia, manodopera costosa e inflazione galoppante. Secondo Confindustria Usa-Italia, aprire un impianto richiede dai 5 ai 15 milioni di euro e fino a due anni di lavoro. Una sfida che non tutti possono permettersi.
Il programma SelectUsa – nato con Obama e sostenuto anche da Trump – mira a riportare la manifattura sul suolo statunitense. Una strategia perfettamente in linea con l’“America First” del tycoon, che punta a frenare la Cina e incentivare gli insediamenti produttivi di aziende estere direttamente negli Usa.
Intanto Pirelli studia come rafforzare la produzione negli Stati Uniti. Illycaffè valuta se spostare parte della produzione. Granarolo vuole raddoppiare la produzione in Connecticut. Prysmian investe 245 milioni in Nord America. Lavazza accelera in Pennsylvania. Anche EssilorLuxottica sta valutando lo scenario. Prada resta alla finestra, in attesa di capire le prossime mosse di Washington. Ferrari ha già alzato i prezzi negli Usa fino al 10%, senza temere un impatto sulle vendite.