La lunga marcia di Pechino sui porti europei

I porti sono una risorsa vitale per l'economia europea: oltre il 70% delle merci che attraversano le frontiere dei paesi membri viaggiano per mare. Intanto crescono le acquisizioni cinesi nel sistema portuale dell'Ue

La lunga marcia di Pechino sui porti europei

Lo scorso anno il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, aveva lanciato l'idea di istituire un nuovo meccanismo europeo per vagliare gli investimenti diretti esteri (Ide), sostenendo che “se una società straniera di proprietà statale volesse acquistare un porto europeo, parte della nostra infrastruttura energetica o una società tecnologica, il processo dovrebbe avvenire in modo trasparente e dopo un informato dibattito”.

Questa proposta, scaturita delle crescenti preoccupazioni riguardo all’acquisizione di infrastrutture e imprese europee ritenute strategiche da parte di investitori stranieri, ha suscitato un’ampia discussione nell’Ue sull'opportunità che Bruxelles passi al setaccio gli Ide – in linea con quanto fatto sin dal 1975 dal governo Usa attraverso il Committee on Foreign Investment in the United States. Ma al momento tutto è rimasto lettera morta.

Eppure i porti rappresentano un asset di vitale importanza per l’economia europea. Se si considera che oltre il 70% delle merci che attraversano le frontiere dei paesi membri viaggiano via mare, risulta chiaro il ruolo svolto dal sistema portuale. La conferma viene dai numeri: tutti insieme impiegano 1,5 milioni di persone e gestiscono ogni anno merci per un valore complessivo pari a 1.700 miliardi di euro.

Valori più che sufficienti per attrarre l’attenzione di Pechino. L’operazione rientra nel più ampio quadro della Nuova Via della Seta, che comprende una linea infrastrutturale di terra (ferrovie e strade) finalizzata a collegare Cina ed Europa attraverso l’Asia Centrale, il Medio Oriente e la Russia, ed una linea marittima finalizzata a collegare Cina ed Europa tramite il Sud-Est Asiatico, l’India, l’Africa Orientale e il Mediterraneo.

Che Pechino faccia sul serio lo dice anche l’importo messo sul piatto per questo megaprogetto solo nel 2016 dalla China Development Bank: 12,6 miliardi di dollari. Ma non è un processo iniziato da poco. Nell’ultimo decennio la Cina ha acquisito – attraverso aziende sia pubbliche che private – partecipazioni in 8 porti europei, localizzati in Belgio, Paesi Bassi, Spagna, Francia, Italia e Grecia.

L’investimento più rilevante è stato quello effettuato nel 2008 dalla China Ocean Shipping Company (Cosco) per rilevare la gestione di due terminal, poi diventati tre, del porto greco del Pireo per 35 anni in cambio di 4,3 miliardi di dollari. Una gallina dalle uova d'oro per Cosco, visto che il Pireo ha registrato in soli sei anni un aumento del traffico superiore al 300%.

Alexis Tsipras si dice soddisfatto. Mentre Berlino e Parigi restano molto scettici, la Via della Seta è fortemente sostenuta dai paesi dell’Europa dell’Est. È proprio questo a preoccupare maggiormente Emmanuel Macron e Angela Merkel. Ovvero che i progetti cinesi possano minare la stabilità dell’Ue sulle politiche commerciali.

E qualora nascesse un meccanismo europeo per vagliare gli Ide sarebbe comunque inevitabile lasciare ampi margini di discrezionalità ai paesi membri per evitare rischi di rotture insanabili. Invece, sarebbe un’altra storia se l’Ue fosse più forte e potesse fare come gli Stati Uniti, ovvero un Comitato Centrale che controlla minuziosamente ogni operazione di investimento proveniente dall’estero.

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