L’industria chimica europea è in crisi. E nessuno sembra volerla salvare

La deindustrializzazione dell’Ue avanza: dopo auto, acciaio e meccanica, anche la chimica perde terreno. E intanto Cina i paesi del Golfo corrono

L’industria chimica è in crisi. E nessuno sembra volerla salvare

Mentre l’Europa discute sul futuro industriale, la chimica – settore storico e strategico – è in forte contrazione. Proprio come l’automotive e l’acciaio, anche questo comparto mostra segni evidenti di crisi. Eppure, le classi dirigenti europee sembrano incapaci di fornire risposte, rifugiandosi nella corsa al riarmo.

Dalla leadership mondiale al sorpasso asiatico

Nel 2008 l’Ue produceva il 23% della chimica globale. Oggi è scesa al 13%, e continua a perdere terreno. Gli Stati Uniti sono crollati all’11%, mentre la Cina vola al 43%, con una crescita annua del 13%. Anche i Paesi del Golfo raddoppiano la propria quota, grazie all’energia a basso costo e a investimenti mirati.

Energia, concorrenza e scelte miopi

Le ragioni del declino sono note: fine dell’energia russa a basso costo, concorrenza feroce sui prezzi e assenza di strategie industriali credibili. La chimica di base, in particolare, è un settore ad altissimo consumo energetico. E oggi l’Europa non è più competitiva né come produttore, né come innovatore.

Le aziende se ne vanno

Basf blocca la Germania e investe 10 miliardi in Cina, mentre Ineos, Dow Chemical, Sabic, Shell e Bp studiano dismissioni e vendite. Sono 21 gli impianti chimici europei destinati alla chiusura, per un totale di 11 milioni di tonnellate di capacità produttiva. Si spostano dove costa meno e si guadagna di più.

Le reazioni (tardive) di Bruxelles

Il governo tedesco chiede aiuti urgenti a Bruxelles per salvare chimica e acciaio. La Commissione Ue ha promesso un piano di rilancio entro il 2025, ma l’impressione è che sarà troppo poco e troppo tardi. Come già successo in altri settori, le parole rischiano di non diventare fatti.

Un’Europa che investe solo negli armamenti?

Mentre Cina, Usa e Golfo puntano su energia e manifattura, l’Europa sembra arretrare sul piano industriale e compensare investendo nella difesa. La chimica oggi rappresenta ancora il 5-7% della produzione industriale europea, con 1,2 milioni di occupati. In Italia il settore vale 67 miliardi, con 2.800 imprese attive. Eppure nessuno parla di come salvarlo.

Una domanda (ancora senza risposta)

Qual è oggi il modello industriale europeo? Su quali settori strategici vogliamo puntare? Auto, chimica, acciaio e meccanica sono ancora salvabili? La sensazione è che la politica non abbia una visione, e nel dubbio si rifugi in ciò che garantisce ritorni immediati: armi, retorica e poca sostanza.

Fonte
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