Il tetto al prezzo del gas è un rompicapo. Solo in un caso può (forse) funzionare

Sarebbe auspicabile mettere un tetto al prezzo del gas, ma anche questa misura rischia di essere un boomerang. Come attuare quindi il provvedimento? Vi sono diversi modi e diversi problemi. C’è tuttavia un modo per non far ricadere i costi dell’operazione sui contribuenti europei, ma sulle finanze dello stato russo

Il tetto al prezzo del gas è un rompicapo. Solo in un caso può funzionare

Fissare un tetto al prezzo del gas? L’importanza di una misura di questo genere è immediata, comprensibile e auspicabile: romperebbe il circolo vizioso tra aspettative di una riduzione delle importazioni dalla Russia, spinta al rialzo del prezzo del gas e dei contratti future e aumento delle entrate in valuta pregiata per Mosca che vanifica l’impatto delle sanzioni.

Il punto cruciale da cui partire è: di quale prezzo del gas vogliamo parlare? Il tetto potrebbe essere collocato nel mercato al dettaglio che interessa gli acquirenti finali (famiglie e imprese) e le bollette. Un tale tetto esporrebbe tuttavia quanti riforniscono questo mercato a forti perdite, nel momento in cui il prezzo all’ingrosso a cui il gas viene acquistato fosse superiore a quello prefissato per la vendita ai clienti finali.

Per garantire le forniture occorrerebbe quindi compensare quanti operano sul mercato interno nella fornitura della clientela retail per la differenza tra prezzo capped e prezzo di mercato. In alternativa, potrebbero essere messe in atto forme di ristoro direttamente rivolte ai clienti finali che si intende proteggere.

Questo meccanismo è quello più facilmente attuabile e ricalca la strada seguita dal Governo sin dall’autunno 2021 per venire incontro all’aumento dei prezzi dei servizi energetici, e carica tutto l’onere degli alti prezzi dell’energia sul bilancio pubblico e i contribuenti. La misura, non incidendo sul prezzo del gas importato dalla Russia, non avrebbe invece alcun impatto sul secondo degli obiettivi enunciati, lasciando inalterati i pagamenti e i flussi di importazione.

In alternativa, si potrebbe pensare a un tetto sul prezzo pagato per le importazioni via gasdotto dalla Russia, conseguendo il secondo degli obiettivi e potenzialmente, nella misura in cui il prezzo ridotto fosse trasferito a valle ad alcune categorie di utenti, anche il primo.

L’Europa è uno dei principali acquirenti di gas russo, quindi è un monopsonista e come tale può far valere il proprio potere negoziale nei confronti di Mosca. Questa visione pare tuttavia ancorata all’immagine del mercato del gas precedente agli anni Novanta e dimentica che, da parte russa, c’è effettivamente un unico venditore monopolista, Gazprom, mentre dal lato europeo gli attori sono molto numerosi.

Per poter ricostruire dal lato europeo un monopsonio, un singolo acquirente che negozi con la controparte russa, occorre quindi portare indietro l’orologio di due decenni, conferendo alla Commissione europea il ruolo di acquirente unico per tutte le importazioni via gasdotto dalla Russia e affidando a essa l’allocazione dei quantitativi importati tra i diversi paesi e ai diversi operatori nazionali.

Nell’offerta complessiva di gas al sistema europeo si creerebbe in questo modo un segmento importante pagato ai fornitori russi a un prezzo controllato inferiore a quello prevalente negli altri contratti di fornitura e nel segmento del Lng. A chi debbano andare queste rendite inframarginali è una componente cruciale dell’intera manovra.

Sembrerebbe naturale immaginare che gli importatori dalla Russia che acquistassero il gas al prezzo ridotto trasferiscano a loro volta lo sconto a quelle componenti della domanda (famiglie a basso reddito e industrie energivore) che maggiormente subiscono l’onere degli alti prezzi dell’energia in questo periodo.

Nell’allocazione tra i diversi paesi del gas contrattato dalla Commissione dovrebbe essere quindi imposto un obbligo agli importatori nazionali e agli altri soggetti a valle nella filiera del gas di contenere i ricarichi coprendo i costi senza lucrare le rendite potenziali derivanti dalla differenza tra il prezzo cappato e quello di mercato del gas.

Famiglie a basso reddito e industrie energivore pagherebbero quindi un prezzo ribassato del gas derivante dal tetto imposto al momento dell’importazione dalla Russia. In questo modo verrebbero centrati entrambi gli obiettivi, sanzioni alla Russia e protezione delle componenti esposte della domanda. Un soggetto istituzionale attrezzato a questa regolamentazione dei prezzi dell’intera filiera sembrerebbe in modo naturale l’Autorità nazionale di regolazione dell’energia, Arera nel caso italiano.

Questa soluzione ha evidentemente un grande punto interrogativo. Per quale ragione la Russia dovrebbe rinunciare alle entrate di valuta pregiata che oggi alimentano la sua economia, sostengono il rublo e finanziano lo sforzo bellico in Ucraina accettando un prezzo ribassato del gas esportato in Europa? Che tempi e che esiti potrebbe avere un negoziato tra Ue e Russia su questa materia cruciale? Come affrontare un confronto che ha tutto di bellico tranne l’uso delle armi? E quali mosse avrebbero a disposizione le due parti durante il negoziato per chiudere a proprio favore la trattativa?

Un negoziato bilaterale, quand’anche vi si giungesse, deve tenere conto del potere negoziale delle parti, che a sua volta dipende dai costi che reciprocamente sarebbero in grado di infliggersi.

Per parte russa, ovviamente, il costo di un non-accordo con l’interruzione delle forniture starebbe prima di tutto nel venir meno degli ingenti pagamenti in valuta pregiata che riceve dalle esportazioni di gas in Europa. Per parte europea, i punti di debolezza non mancano: l’impossibilità almeno per i principali importatori, Germania e Italia, di sostituire completamente prima di un paio d’anni le forniture russe con altre fonti.

Una ulteriore questione riguarda il fatto se un tetto al prezzo del gas dovrebbe coinvolgere non solo le importazioni dalla Russia, ma anche tutte le forniture via gasdotto che raggiungono il sistema europeo dalla Norvegia, dall’Olanda, dall’Azerbaijan, dall’Algeria e dalla Libia. Questa opzione, che porterebbe a un tetto al prezzo del gas da qualunque gasdotto che entri nel sistema europeo, appare ancora più complessa rispetto a una misura concentrata sulle importazioni da Mosca.

Non è chiaro per quale ragione gli altri paesi fornitori, cui la Commissione e i singoli stati membri si rivolgono in questi mesi per aumentare le forniture e sostituirle a quelle di Gazprom, dovrebbero accettare un prezzo inferiore a quello dei contratti in essere. Né sono chiare le ragioni in base a cui la Commissione potrebbe chiedere un tale sacrificio a paesi di cui ha necessità per supplire alle proprie carenze di approvvigionamento. Estendere il price cap aumenta quindi la complessità dei negoziati, a questo punto multilaterali, allineando pericolosamente gli interessi della Russia e degli altri paesi produttori.

Un’altra ragione per cui l’estensione del price cap non è consigliabile sta nel fatto che il prezzo di riferimento per il gas europeo si fissa sui mercati spot e dipende dall’offerta marginale, rappresentata dal gas liquefatto. In altri termini, imporre un tetto al prezzo del gas acquistato dall’Algeria ridurrebbe gli introiti di questo paese, ma non inciderebbe in misura significativa sul prezzo di riferimento nei mercati spot europei.

Il sistema gas europeo ha, ed avrà tanto più in futuro, bisogno delle forniture via nave di Lng, rivolgendosi quindi ad un mercato mondiale dove non è possibile imporre un tetto al prezzo. Il prezzo nei mercati spot rimarrà quindi il prezzo di riferimento e dipenderà dal prezzo del gas liquefatto che raggiunge l’Europa via nave.

Infine, si potrebbe pensare di imporre un tetto al prezzo del gas scambiato sui mercati spot. Per quanto in questo caso i contratti di importazione via gasdotto non verrebbero toccati, la loro indicizzazione ai mercati spot potrebbe ridurre il prezzo pagato anche in questa fonte di approvvigionamento.

Qualora tuttavia il cap fosse fissato a un livello inferiore a quello prevalente negli altri mercati del mondo, assisteremmo ad una interruzione delle forniture fisiche via nave, che si rivolgerebbero ai mercati asiatici, acuendo la dipendenza del sistema europeo dalle importazioni attraverso i gasdotti e generando una spinta a un aumento del prezzo del gas pagato a tutti i fornitori di gas all’Europa via tubo, inclusi russi, algerini e quant’altro.

In conclusione, la soluzione più favorevole per i paesi europei sarebbe quella di un tetto al prezzo del gas importato dalla Russia e di una destinazione prioritaria di questi volumi di gas a basso costo alle componenti fragili ed esposte della domanda. Il costo dell’operazione non ricadrebbe sui contribuenti europei, ma sulle finanze dello stato russo.

(Abbiamo qui proposto i passaggi principali di un articolo firmato da Michele Polo e pubblicato su lavoce.info)

Fonte
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