
Maxim Reshetnikov, ministro dell’Economia della Federazione Russa, ha ammesso pubblicamente – per la prima volta – che l’economia nazionale sta rallentando bruscamente. Alla conferenza economica di San Pietroburgo, il ministro ha avvertito che “i numeri mostrano che l’economia si sta raffreddando”. Un messaggio che suona come un campanello d’allarme, mentre il Paese è ancora immerso in un’economia di guerra a tre anni dall’invasione dell’Ucraina.
Tassi al 20% e inflazione al 10%: un cocktail tossico per le imprese
A mettere in difficoltà l’economia non sono solo le sanzioni occidentali, ma anche la politica monetaria ultra-restrittiva della Banca Centrale Russa. I tassi d’interesse sono fermi al 20%, nel tentativo di tenere sotto controllo un’inflazione che sfiora ormai il 10%. Ma, secondo Reshetnikov, “questo sta soffocando gli investimenti” e rendendo più difficile per le aziende trovare liquidità per operare.
La guerra costa: il conto lo pagano le imprese
Dopo tre anni di conflitto in Ucraina, il tessuto produttivo russo è sotto pressione. Le spese militari record drenano risorse pubbliche e privano l’economia civile degli stimoli necessari per crescere. E mentre il Cremlino insiste sul mantenimento di un modello “autarchico”, le aziende lamentano mancanza di capitali, carenza di manodopera e difficoltà a importare componenti essenziali.
Segnali di cedimento anche dalla narrazione ufficiale
L’intervento di Reshetnikov segna una rara frattura nella narrativa ottimista del governo russo. Finora, Mosca ha sempre sostenuto che l’economia stesse reggendo alle sanzioni e alle tensioni internazionali. Ma il tono del ministro cambia: “Le imprese hanno bisogno di ossigeno. La stretta monetaria non può essere l’unica risposta”.