Una settimana di guerra

La situazione in Ucraina è sempre più difficile: con l’aumentare dell’intensità dei combattimenti cresce il numero delle vittime e dei profughi

Una settimana di guerra

Si combatte a sud, a Kherson (secondo alcune fonti appena conquistata dai russi) e a Mariupol; a est, a Kharkiv, la seconda città più grande del paese; e si stringe sempre di più l’assedio intorno a Kiev, dove è stata bombardata l’antenna della televisione. Dopo una settimana di guerra, cominciano a scarseggiare il cibo e l’acqua, e in molte parti del paese ormai non ci sono più né elettricità né riscaldamento. Le stazioni ferroviarie e dei pullman sono prese d’assalto da chi cerca di fuggire. L’Alto commissario ONU per i rifugiati, Filippo Grandi, ha dichiarato che in soli sette giorni l’esodo ha coinvolto un milione di persone.

Oggi (3 marzo) il Consiglio dell'Unione Europea, l'organo che riunisce i rappresentanti dei 27 governi membri, dovrebbe approvare lo strumento della “protezione temporanea” per le persone in fuga dalla guerra. La protezione temporanea fornisce uno status giuridico riconosciuta in tutta l’Unione che dà diritto a un permesso di un anno per risiedere, lavorare e ricevere assistenza sanitaria.

Non è la guerra lampo che forse Putin auspicava, ma l’esercito russo, pur tra difficoltà logistiche e disorganizzazione, sta progredendo verso i suoi obiettivi. Una forza non entrata pienamente in azione è l’aeronautica. Alcuni analisti ritengono che Putin non stia utilizzando tutta la potenza di fuoco a sua disposizione (se volesse, potrebbe far radere al suolo intere città come è avvenuto in Siria e in Cecenia) per avere un margine nei negoziati che dovrebbero riprendere oggi, 3 marzo. A sostegno di questa tesi vi è il fatto che Kiev finora è stata sostanzialmente risparmiata dai bombardamenti, mentre altre città come Kharkiv e Mariupol, ritenute meno simboliche, stanno ricevendo un trattamento ben diverso.

Le sanzioni economiche dell’Occidente stanno nel frattempo dispiegando i loro effetti. La Borsa di Mosca rimarrà chiusa per il quarto giorno consecutivo, il rublo ha perso molto del suo valore (prima dell’invasione ci volevano circa 78 rubli per acquistare un dollaro, dopo una settimana ce ne vogliono oltre 115) ed è stata imposta una commissione del 30% sull’acquisto di valuta straniera per evitare ulteriori crolli. Le agenzie di rating hanno degradato il debito russo da BBB a B, cioè al livello “spazzatura”. Le maggiori banche russe sono escluse dai mercati finanziari e molte aziende occidentali hanno deciso di sospendere la produzione e gli investimenti. Tra queste troviamo veri e propri giganti come Shell, BP, Equinor, Volvo, Renault, Volkswagen, Danone, Carlsberg.

La Banca Centrale russa ha aumentato i tassi d’interesse dal 9,5% al 20% e ha vietato alle banche di accettare i disinvestimenti da parte degli investitori esteri. Inoltre, in seguito alla decisione dell’Ue di bloccarne i fondi esteri, l’Istituto non può più accedere a buona parte di circa 650 miliardi di dollari che detiene all’estero, fondi che sono stati accumulati negli ultimi anni sia per contrastare eventuali fluttuazioni di mercato negative ma anche sanzioni. Il fatto che fosse stata messa in atto tale misura (che al momento si sta rivelando inefficace), porta molti analisti a pensare che l’azione militare in Ucraina fosse stata decisa da molto tempo.

Anche gli oligarchi russi vengono colpiti con sequestri di proprietà e conti correnti. Roman Abramovich ha deciso di vendere il Chelsea, il club inglese del quale è proprietario da oltre vent’anni, mentre Alisher Usmanov si è visto sequestrare in Germania quello che viene considerato lo yacht più grande del mondo, dal valore di 500 milioni di euro.

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione che condanna l’invasione russa con 141 paesi a favore, 35 astenuti (tra i quali la Cina, l’India e molti paesi africani dove è forte l’influenza del Cremlino) e 5 contrari: la Federazione Russa, la Bielorussia, la Siria, la Corea del Nord e l’Eritrea. Il voto conferma il sostanziale isolamento internazionale della Russia.

Intanto in Italia è scoppiata una disputa su un corso di letteratura russa. “Il prorettore alla didattica, d’accordo con la Rettrice, ha deciso di rimandare il percorso su Dostoevskij per evitare tensioni interne in questo momento di politica internazionale.” Questo il testo della email da parte dell’università milanese Bicocca che Paolo Nori, scrittore esperto in letteratura russa, ha ricevuto riguardo al corso che avrebbe dovuto tenere nelle prossime settimane. In poco tempo la vicenda è diventata un caso prima sui social, poi sui giornali. E la Bicocca ha ottenuto proprio quello che voleva evitare: è stata travolta dalle polemiche.

È arrivata una marcia indietro, ma come si dice, la pezza è stata peggio del buco. Scrive Nori sul suo sito che il ciclo di lezioni è stato sospeso col fine di “ristrutturare il corso e ampliare il messaggio per aprire la mente degli studenti. Aggiungendo a Dostoevskij alcuni autori ucraini”. Dichiara (giustamente, aggiungiamo noi) Nori: “Non condivido questa idea che se parli di un autore russo devi parlare anche di un autore ucraino”. Insomma, come se invece di una lezione di letteratura dovesse andare in scena un comizio politico e fosse necessario rispettare una qualche par condicio.

Dostoevskij sarebbe poi l’ultimo autore da censurare, perché ha provato sulla sua pelle la tirannia del dispotismo: condannato a morte per la partecipazione a una società segreta critica nei confronti del regime zarista, è stato graziato soltanto quando era già davanti al plotone di esecuzione. La sua pena è stata convertita nei lavori forzati (resterà in Siberia per quattro anni) e nel servizio militare come soldato semplice. Quell’esperienza lo ha segnato in modo decisivo: Memorie da una casa di morti è lo straordinario resoconto della permanenza nella colonia penale. Scrive Dostoevskij: “Se anche non ho conosciuto la Russia, certo il popolo russo l’ho conosciuto bene, come pochi credo lo conoscano.” Nelle sue opere, ha raccontato con lucidità e realismo, ma anche con intensa partecipazione emotiva, la “povera gente”. Cioè chi, le durezze della vita, comprese quelle imposte da chi è al potere, le patisce e le sopporta.

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