
Oggi (6 settembre) a Sharm el-Sheikh prendono il via i negoziati per la pace a Gaza, sotto la regia statunitense. Donald Trump, più che mai protagonista, si mostra fiducioso: “I colloqui stanno andando bene, serviranno solo un paio di giorni”. Il presidente Usa sta però giocando su due fronti, cercando di convincere Netanyahu a rallentare i bombardamenti e Hamas ad accettare lo scambio di prigionieri, primo passo per la tregua.
Il nodo ostaggi e le pressioni su Israele
Secondo il piano americano, si punta a uno scambio tra 48 ostaggi israeliani (di cui 20 ancora vivi) e oltre 1.900 detenuti palestinesi, compresi ergastolani. Ma Netanyahu è irremovibile: “Senza il rilascio degli ostaggi, non si va avanti”. Trump, racconta Axios, avrebbe avuto un confronto acceso con il premier israeliano: “È una vittoria, accettala!”, gli avrebbe detto. Intanto il segretario di Stato Marco Rubio ha chiesto a Tel Aviv di sospendere i raid: “Non si possono liberare ostaggi sotto le bombe”.
Hamas apre ma chiede garanzie
Dal fronte opposto, Hamas fa sapere di voler arrivare a un accordo “per porre fine alla guerra” ma chiede garanzie precise:
- ritiro dell’esercito israeliano dalle aree popolate della Striscia
- sospensione dei droni durante il rilascio dei prigionieri,
- e il via libera per figure storiche come Marwan Barghouti e Ahmad Sa’adat, richieste che Israele respinge.
Trump media, ma il rischio stallo resta
Gli Stati arabi e musulmani, riuniti in una dichiarazione congiunta, appoggiano il piano Usa e rilanciano la soluzione a due Stati, che Netanyahu continua a osteggiare. Il team americano guidato da Jared Kushner e Steve Witkoff, con mediatori egiziani e qatarini, tenterà di tenere insieme i pezzi di una trattativa che potrebbe durare settimane. Trump però avverte: “Se Hamas rifiuta, sarà distrutto completamente”.