
Il recente vertice tra il premier britannico Keir Starmer e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha segnato un primo, timido tentativo di ricucire i rapporti post-Brexit. Sul tavolo, nuove collaborazioni su trasporti, difesa e – seppur non esplicitamente – mobilità. Ma il solco lasciato dalla Brexit resta profondo, soprattutto sul piano migratorio.
Addio alla libera circolazione: gli effetti immediati
Con l’uscita dall’Unione, il Regno Unito ha messo fine alla libera circolazione delle persone, rompendo un equilibrio che per decenni aveva garantito un flusso costante di lavoratori, studenti e famiglie tra Londra e le capitali europee. A partire dal referendum del 2016, la migrazione netta di lungo periodo – il saldo tra chi entra e chi esce con l’intenzione di restare almeno un anno – ha iniziato a crollare.
Dal 2021 il visto è obbligatorio: flussi Ue in picchiata
L’effetto più evidente è arrivato nel 2021, con la fine del periodo transitorio e l’introduzione del visto per i cittadini dell’Unione. I numeri raccontano una frenata drastica: l’era della mobilità libera è ormai un ricordo, e l’arrivo di lavoratori europei si è quasi dimezzato rispetto al periodo pre-Brexit.
Il sorpasso degli extra-Ue: nuova mappa dell’immigrazione
Eppure, la migrazione netta complessiva è tornata a salire. Ma non grazie all’Europa: nel 2023 il Regno Unito ha registrato oltre 900 mila nuovi arrivi da paesi extra-Ue, soprattutto Asia meridionale, Africa e Medio Oriente. Un cambiamento che ha ridisegnato il volto dell’immigrazione britannica, rendendola più globalizzata ma anche più polarizzata sul piano politico.
La sfida del futuro: ricucire senza tornare indietro
Londra guarda ora a Bruxelles per aprire nuovi canali di cooperazione, ma senza rinunciare al controllo delle frontiere. Il dossier migrazione resta un tema divisivo, mentre la domanda di manodopera cresce in settori chiave dell’economia britannica. Sarà il nuovo accordo Ue-Regno Unito a dettare la rotta dei prossimi anni?