
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si trova di fronte all’ennesima prova di tenuta del suo governo. I ministri ultranazionalisti Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich minacciano di abbandonare la coalizione, aprendo una frattura che potrebbe portare a una caduta anticipata dell’esecutivo.
L’accordo per fermare la guerra
Il nodo centrale resta l’intesa (siglata tra Trump e il premier israeliano a Washington nei giorni scorsi) che dovrebbe porre fine al conflitto in corso. Netanyahu sa che senza il sostegno dell’opposizione, guidata dai partiti di centro e sinistra, difficilmente riuscirà a blindare l’accordo. Un paradosso politico: il leader della destra israeliana costretto ad affidarsi ai voti dei suoi storici avversari.
Sinistra pronta a intervenire
Secondo indiscrezioni dalla Knesset, le forze progressiste sarebbero disposte a garantire un “salvataggio politico” pur di chiudere la guerra. Una scelta dettata dalla volontà di interrompere un conflitto sempre più impopolare nell’opinione pubblica israeliana, logorata da mesi di tensioni e perdite.
Gli equilibri futuri
Se Ben Gvir e Smotrich manterranno la loro minaccia, il governo Netanyahu rischia di non sopravvivere alla crisi. Tuttavia, il premier potrebbe uscire rafforzato se riuscisse a siglare l’intesa e presentarsi come l’uomo che ha portato Israele fuori dalla guerra. In gioco non c’è solo il futuro politico di Netanyahu, ma anche la direzione della politica israeliana nei prossimi anni. E soprattutto il futuro di un popolo: quello palestinese.