C'è un'impronta di CO2 sul turismo globale

Il settore turistico nel suo insieme è responsabile di quasi un decimo delle emissioni di anidride carbonica nel mondo. La soluzione è volare di meno?

C’è un’impronta di CO2 sul turismo globale

Può risultare più economico di una pizza, ma può rivelarsi decisamente più costoso per il pianeta. L’aviazione rappresenta circa il 2% delle emissioni globali di CO2, come quelle prodotte dalla Germania. Che i viaggi in aereo siano il principale colpevole, in termini di impatto ambientale nell’ambito del settore turistico, lo conferma un nuovo articolo pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, che mette tre paesi in cima alla lista nera: Stati Uniti, Cina e Germania.

Si vola di più

A preoccupare di più, tuttavia, è la crescita prevista del traffico dei cieli nei prossimi decenni, piuttosto che l’attuale livello di inquinamento. Con la diffusione delle compagnie low-cost, i passeggeri potrebbero raddoppiare a partire dal 2036 e raggiungere il livello record di 7,8 miliardi all'anno.

Emissioni, limiti superati

Questi dati si scontrano con il riscaldamento globale. Per mantenere l’obiettivo di contenere l’incremento entro i 2 °C , come previsto dall'accordo sul clima di Parigi, ogni persona in media sul pianeta non dovrebbe immettere nell’atmosfera più di 2 tonnellate di CO2 ogni anno. Ma per un’andata e ritorno tra New York City e Francoforte, Lufthansa attribuisce 0,925 tonnellate di CO2 procapite e la quota aumenta a 2,9 tonnellate se si viaggia in prima classe. Con un weekend sotto la Statua della Libertà ci si gioca quantomeno tutto il credito personale valido per un anno.

Volare meno?

È, in realtà, il turismo nel suo insieme a pesare sull’ecosistema. Secondo lo studio il comparto, che rappresenta circa l'8% delle emissioni mondiali di gas serra, continuerà a crescere al ritmo del 4% annuo, superando persino l’incremento evidenziato dal commercio internazionale nel suo insieme. L’analisi proposta dai ricercatori propone una brusca exit-strategy, ovvero volare meno e investire in schemi di compensazione dei danni causati soprattutto dai viaggi.

Diritto di inquinare

L’unica contromisura fino ad ora adottata è il cosiddetto “diritto di inquinare”. Sono numerosi i vettori che danno la possibilità ad ogni cliente di compensare l’eccesso di CO2 prodotto dal loro viaggio, attraverso donazioni volontarie destinate a finanziare progetti fondati sull’energia rinnovabile e sulla tutela dell’ambiente.

In pochi compensano

Il problema è che non è facile stabilire quanto inquiniamo, ne quanta CO2 si elimina piantando un albero. E, poi, soltanto in pochi scelgono di ricorrere alla compensazione: nel 2016 un misero 1% dei passeggeri Lufthansa - la più grande compagnia tedesca – ha scelto la via dell’offerta. Anche se funzionasse davvero, questa soluzione non sarebbe sufficiente per bilanciare gli effetti. E sullo sfondo comincia ad emergere la classe media cinese e indiana, che aspetta il momento giusto per prendere il volo.

Tempi maturi per la carbon tax

Per molto tempo il turismo è stato considerato una possibilità di sviluppo a impatto relativamente modesto. Lo studio smentisce questa tesi, sottolineando quanto il settore determini più emissioni di molti altri comparti produttivi. Il paradosso è che l'industria turistica accelera il cambiamento climatico, ma sarà anche tra le prime a pagare sulla propria pelle gli effetti di un pianeta più caldo. I tempi per il frutto amaro, la carbon tax, potrebbero essere maturi.

Articolo pubblicato in precedenza su La Stampa - Tuttogreen

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