Un mucchietto di biomassa spadroneggia sulla Terra. E modifica il pianeta

Uno studio mai tentato prima per calcolare il “peso” di ogni forma di vita, in termini di biomassa aggregata per ogni categoria tassonomica, dal regno alle specie. Scoperte incredibili come l'immenso volume dei batteri e l'infinitesimo dell'Umanità. Che però impone ben altro peso

Un mucchietto di biomassa spadroneggia sulla Terra. E modifica il pianeta

Misteriosa Terra. Prima di leggere lo studio monstre pubblicato su American National Academy of Sciences che raccoglie ed elabora centinaia di studi internazionali, quanti avrebbero saputo rispondere nel modo corretto alla domanda “quale è la tipologia di animale più 'pesante' sulla terra a livello di biomassa complessiva?”. Probabilmente molto pochi, visto che, intervistati dai ricercatori che hanno approntato lo studio, anche fior di etologi e docenti di tutto il mondo hanno sbagliato. A un profano forse sarebbe venuto da dire gli animali terrestri di grossa taglia, giraffe, elefanti, bovini, ecc., compresi gli uomini: i mammiferi, in sostanza. Neanche lontanamente. Qualcuno più accorto avrebbe detto i pesci, che però sono il secondo grande gruppo. La risposta giusta è gli artropodi: detto in modo più grossolano gli insetti. La loro biomassa, calcolata in quantità di carbonio, al netto dell'acqua dunque, in totale è 1 gigatone, cioè mille miliardi di tonnellate di carbonio. I pesci pesano per 0,7 gigatoni.

E tutto il regno animale? Forse ci si sarebbe aspettato di più, visto che si comprende dagli organismi unicellulari, agli invertebrati, alle balene: 2 gigatoni. E l'Uomo? L'umanità è una frazione davvero minuscola, 0,06 gigatoni di carbonio. Una frazione ancora più infinitesimale se si allarga la lente: dalla biomassa del regno animale alla biomassa del regno vegetale, pari a 450 gigatoni, fino all'intera biomassa del pianeta, 550 gigatoni, comprensiva di tutte le forme viventi terrestri e marine, compresi quindi i funghi, i protisti e i soprendenti batteri (ben 70 gigatoni).

Eppure, come c'era da aspettarsi è proprio l'umanità, con la sua massa lillipuziana, a imporsi e a dettare le regole a tutti gli altri esseri viventi. Da quando si è presentato sulla terra, avviando la civilizzazione, ha portato all'estinzione la cosiddetta mega-fauna del quaternario, poi ha insediato l'agricoltura, deforestando per aumentare il terreno coltivabile, tanto che ora l'agricoltura vale una biomassa da 10 gigatoni. L'uomo poi ha industrializzato, avvelenando suolo, cielo e mare, e sopratutto ha avviato l'allevamento. Modificando in profondità proprio gli equilibri del regno animale. Per dirne solo due: il bestiame allevato ha una biomassa complessiva di gran lunga superiore a tutti gli altri animali vertebrati del pianeta, tranne i pesci. E ora, gli uccelli più presenti sul pianeta non hanno mai volato e non voleranno mai, visto che sono i polli, ormai il doppio di tutti gli altri volatili.

Un’umanizzazione massiva, inarrestabile, che pone seri problemi di risorse per il futuro e non solo di risorse, ma di ecosistema. Studi sulle biomasse come questo, mai tentato prima se si escludono alcuni ardimentosi tentativi degli anni '70, servono proprio ad avviare strategie a livello Onu per – ad esempio - valide metodologie di “sequestro del carbonio” ai fini del contrasto all'effetto serra.

E l'intervento dell'uomo non risparmia nessun angolo della terra. O del mare. Gli oceani coprono il 70% del globo eppure solo il 13% della superficie oceanica si può definire “selvaggia” assoluta. Con la pesca, le rilevazioni, i commerci, i trasporti, l'inquinamento, l'uomo contamina anche le masse oceaniche. E anche quel 13% è a rischio: perchè è, sì, finora incontaminato, ma solo il 5% di quella porzione già piccola è “difeso” dall'intrusione umana a livello di zona marina protetta.

Questa articolo è stato precedentemente pubblicato su LA STAMPA

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