
Nel 2023 oltre 6,2 milioni di dipendenti italiani del settore privato hanno guadagnato meno di 15mila euro lordi all’anno: circa 1.000 euro netti al mese. È il dato allarmante che emerge da uno studio della Cgil. E il quadro si fa ancor più preoccupante se si guarda alla soglia dei 25mila euro lordi: ben 10,9 milioni di lavoratori restano al di sotto, ovvero il 62,7% del totale.
Contratti a termine e part-time: i più penalizzati
A incidere sono soprattutto le tipologie contrattuali. Chi ha un contratto a termine guadagna in media 10.300 euro lordi l’anno, mentre i part-time si fermano a 11.800 euro. Ma per chi è costretto a combinare entrambe le condizioni il dato crolla a 7.100 euro lordi l’anno. Una condizione che trasforma il lavoro da diritto a condanna alla precarietà.
Discontinuità e basse qualifiche: le radici del problema
La fragilità occupazionale è aggravata da un mercato del lavoro frammentato: l’83,5% dei rapporti cessati dura meno di un anno, e nel 51% dei casi non supera i 90 giorni. A questo si aggiunge la forte incidenza di mansioni a bassa qualifica e una retribuzione oraria inferiore ai 9,5 euro lordi per 2,8 milioni di lavoratori.
La tempesta perfetta
Precarietà, discontinuità, part-time involontario, inflazione non recuperata: è la tempesta perfetta che colpisce chi lavora, rendendolo sempre più povero, e scarica sulle spalle dei lavoratori l’assenza di politiche industriali e salariali.