Primo sì del Parlamento di Strasburgo alla direttiva sul salario minimo

Il provvedimento non è ancora definitivo: questa è la versione messa a punto dagli eurodeputati, che adesso verrà negoziata con Commissione e Consiglio

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La direttiva dell’Ue è una delle fonti del diritto dell’Unione europea dotata di efficacia vincolante. È adottata congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio europeo al fine dell’assolvimento degli scopi previsti dai Trattati, perseguendo un obiettivo di armonizzazione delle normative degli Stati Membri.

Il salario minimo è realtà in ben 21 dei 27 Stati dell’Unione europea. Fuori dal club, insieme al nostro Paese, ci sono soltanto Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia. Attenzione però a considerare il salario minimo come una realtà monolitica nel resto d’Europa, perché non è così.

Anzi, a ben vedere – come dimostra un recente rapporto di Eurostat – i livelli salariali garantiti sono tutt’altro che omogenei. La differenza fra il salario minimo registrato ai due estremi della classifica (Lussemburgo e Bulgaria) è pari 1.870 euro.

Primo sì del Parlamento di Strasburgo alla direttiva sul salario minimo

Via libera del Parlamento Europeo alla direttiva sul salario minimo. Non si tratta ancora del via libera definitivo al provvedimento: gli eurodeputati hanno approvato nei giorni scorsi con 443 voti a favore, 192 contro e 58 astensioni il mandato a negoziare con Commissione e Consiglio, per arrivare alla versione definitiva del provvedimento che poi dovrà essere nuovamente votato.

La proposta di direttiva su un salario minimo mira a stabilire dei requisiti di base per garantire un reddito che permetta un livello di vita dignitoso per i lavoratori e le loro famiglie. I deputati propongono due possibilità per raggiungere questo obbiettivo: un salario minimo legale (il livello salariale più basso consentito dalla legge) o la contrattazione collettiva fra i lavoratori e i loro datori di lavoro.

In merito a quest’ultimo punto, il Parlamento vuole rafforzare ed estendere la copertura della contrattazione collettiva obbligando i Paesi con meno dell’80% dei lavoratori coperti da tali accordi a prendere misure efficaci per promuovere questo strumento.

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