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La settimana lavorativa di quattro giorni con lo stipendio pieno esce ufficialmente dal radar dell’IG Metall. A dichiararlo è Christiane Benner, presidente del più influente sindacato tedesco, che ha spiegato come questa proposta non rientri più nella piattaforma negoziale attuale. È un segnale forte e simbolico: anche tra chi ha difeso a lungo il modello del “lavorare meno a parità di salario”, ora sembra credere che non sia sostenibile nel lungo periodo.
Crisi economica e verità scomode
La Germania è entrata nel suo terzo anno consecutivo di stagnazione economica. Le grandi imprese tagliano posti di lavoro, gli investimenti in innovazione sono in caduta libera e il volume totale di ore lavorate è in calo, nonostante l’aumento dell’occupazione. Secondo l’Istituto IAB, nel 2024 si è lavorato lo 0,1% in meno rispetto al 2023, fermandosi a 61,37 miliardi di ore.
Merz: “Così perdiamo la prosperità”
A rilanciare il dibattito è stato anche il cancelliere Friedrich Merz: “Con la settimana corta e l’ossessione per il work-life balance, non manterremo la prosperità del Paese”. In un contesto di crisi industriale e freni produttivi, l’utopia della riduzione dell’orario senza riduzione di salario appare oggi un lusso fuori portata, secondo l’attuale esecutivo tedesco.
Un chiaro cambio di rotta
Per anni è stata una bandiera del “new work” europeo. Ora, anche il sindacato più progressista ammette i limiti del modello. Non si tratta solo di un cambio tattico, ma del riconoscimento dell’idea che appare al momento dominante: la produttività non può reggere senza un contributo reale in termini di ore e impegno.
Evidenza empirica
Tuttavia, l’evidenza empirica emersa ad esempio da altre esperienze (come quella britannica) dimostra che la riduzione dell’orario a parità di salario tende ad aumentare (o quantomeno a non diminuire) la produttività nel breve--medio periodo. Resta, invece, il dubbio sul lungo.