Operai Stellantis, dalla Campania ai Balcani per lavorare: l’esodo verso la Serbia

Dalla cassa integrazione in Italia ai tre turni in Serbia. La scelta (forzata) di decine di lavoratori: lasciare Pomigliano, Melfi e Atessa per garantirsi un reddito pieno

Operai Stellantis, dalla Campania ai Balcani per lavorare

Trasferirsi a 1.600 chilometri da casa per avere uno stipendio pieno. È la scelta di Giovanni — nome di fantasia — operaio dello stabilimento Stellantis di Pomigliano d’Arco, oggi in trasferta nello stabilimento serbo di Kragujevac, dove il gruppo ha avviato la produzione della Grande Panda. Nella fabbrica serba ci sono oltre 100 operai italiani, arrivati da Pomigliano, Melfi, Atessa e altri stabilimenti in difficoltà. Tutti su base volontaria, ma spinti dalla necessità. “Con 1.200 euro non si vive. Qui almeno lavoro, faccio turni pieni e porto a casa uno stipendio vero”, racconta Giovanni al Corriere della Sera.

In Italia si lavora 10 giorni al mese: “È uno schiaffo ai lavoratori”

In Campania, tra cassa integrazione e contratti di solidarietà, gli operai di Pomigliano arrivano a lavorare 10-11 giorni al mese. “È assurdo che la Grande Panda sia prodotta in Serbia e non a Pomigliano”, denuncia Mario Di Costanzo (Fiom-Cgil). Anche Uilm e Fim-Cisl parlano di uno stabilimento “stanco”, in attesa di nuovi modelli promessi da Tavares: “Senza un piano industriale serio il territorio rischia di implodere”.

Trasferta serba: turni pesanti, costi alti e stipendi dimezzati per i colleghi locali

Stellantis offre ai trasfertisti lo stipendio italiano, che con turni aggiuntivi e indennità arriva a circa 2.000 euro netti. In Serbia, però, la vita non costa quanto un tempo: gli affitti hanno superato 800 euro al mese, motivo per cui gli operai condividono appartamenti in due o tre. Nella fabbrica lavorano anche serbi, nepalesi e marocchini. Gli operai locali guadagnano 600-800 euro e quasi tutti fanno un secondo lavoro. Una disparità che i sindacati serbi hanno già denunciato.

Il sacrificio della distanza: “La cosa più dura è vedere i figli crescere senza di te”

Ogni 45 giorni è previsto il rientro in Italia con volo pagato dall’azienda.
Ma il prezzo emotivo è alto: “La cosa più brutta è accorgersi che i figli crescono e tu non ci sei”, confessa Giovanni.

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