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Dopo il ripristino delle sanzioni ONU di fine settembre, l’Iran sembra tutt’altro che intimorito. Il ministro del Petrolio Mohsen Paknejad ha liquidato le nuove restrizioni come “ininfluenti”: negli ultimi due anni, ha ricordato, Teheran ha affrontato oltre 470 misure punitive. Le nuove sanzioni congelano beni iraniani, vietano la vendita di armi e impongono controlli più severi su trasporti e pagamenti, ma la Repubblica islamica ha già trovato i suoi canali paralleli.
Il contrabbando del greggio: reti ombra e compagnie di copertura
Secondo l’esperta energetica Dalga Khatinoglu, l’Iran ha costruito un vero e proprio sistema finanziario e logistico sotterraneo per esportare il proprio petrolio. A capo del meccanismo c’è una rete di società e navi legate alla famiglia Shamkhani, influente dinastia vicina alla Guida Suprema Khamenei.
Washington ha colpito oltre 115 persone, aziende e petroliere collegate a questo impero, accusandolo di gestire traffici illeciti di greggio tra Iran, Russia e altri Paesi.
Petrolio scontato (e in nero) alla Cina
L’alleato più importante resta Pechino, che continua a comprare petrolio iraniano a prezzi fortemente ribassati: oggi lo sconto supera i 10 dollari al barile rispetto al Brent. In cambio, la Cina finanzia infrastrutture in Iran — strade, ponti, centrali — in un sistema di baratto segreto che bypassa il circuito bancario internazionale. Nel solo 2024, secondo il Wall Street Journal, fino a 8,4 miliardi di dollari sono transitati attraverso questo canale.
Un’economia clandestina nelle mani di pochi
I proventi delle esportazioni illegali non finiscono nelle casse pubbliche, ma alimentano le ricchezze di una ristretta élite. “Le reti di contrabbando si denunciano a vicenda per spartirsi miliardi di profitti”, ha rivelato l’economista Hamzeh Safavi dell’Università di Teheran.
Intanto, la popolazione iraniana continua a fare i conti con un’inflazione record e una valuta in caduta libera, mentre le élite del regime si arricchiscono grazie al greggio “fantasma”.
Un’economia che sfida il mondo
Nonostante la pressione internazionale, Teheran continua a esportare petrolio — legalmente o meno — per finanziare il suo programma nucleare e militare, in una sfida diretta a Washington e all’ONU. Un commercio parallelo che tiene in piedi un’economia allo stremo e al tempo stesso rafforza la casta di potere che controlla il Paese.





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