Energia, il ricatto contro l’Europa: presa a schiaffi da Mosca. Ma anche da Washington

I rischi per l’Europa non provengono solo dalla Federazione russa

Energia, l’Europa: presa a schiaffi da Mosca. E da Washington

Due dati sembrano ormai incontrovertibili: il prezzo del gas è il nuovo spread e l’Italia non ha alternative al gas russo. A meno di non voler far passare come risolutive le forniture dall’instabile Angola o quelle della filo-russa Algeria. Il nostro paese deve, quindi, sperare (al pari della Germania) che Mosca non affondi davvero il colpo.

Ma i rischi per l’Europa non provengono solo dalla Federazione. L’andamento impazzito del prezzo del gas naturale Usa non lascia sperare nulla di buono. Per la prima volta dal 2008, il 23 agosto sono stati raggiunti i 10 dollari per milione di unità termiche britanniche. E nell’arco della stessa giornata le quotazioni precipitare di colpo da quel livello record. Perché?

Dopo aver confermato nei giorni scorsi la ripartenza per l’inizio del mese di ottobre dell’attività di esportazione dal suo terminal in Texas, danneggiato da un incendio lo scorso giugno, Freeport LNG - secondo esportatore statunitense di gas - ha comunicato di aver rimandato quella data a metà novembre. Il che significa per l’Europa meno LNG, già carissimo rispetto all’alternativa russa. Il caso vuole che metà novembre coincida con le elezioni di mid-term negli Usa.

Le riserve strategiche statunitensi di petrolio sono intanto scese il 23 agosto al minimo da 35 anni: 453,1 milioni di barili. E in base alle proiezioni dell’Institute of Energy Research, entro la fine di ottobre si arriverà ai minimi da 40 anni, stante la previsione di 358 milioni di barili a fronte di 621 milioni del medesimo periodo del 2021. Cosa potrebbe accadere al prezzo del petrolio, quando gli Stati Uniti dovranno rimpolpare le riserve? Il prezzo potrebbe schizzare a 150-200 euro il barile.

Numeri e osservazione che svelano la natura globale del ‘ricatto’ energetico. L’Europa, prima o poi, potrebbe essere costretta presto ad aggiornare la lista dei paesi ‘amici’. Non si può ad esempio dimenticare il pesante pressing adottato negli anni scorsi dagli Stati Uniti contro la Germania per indurre Berlino a non autorizzare la messa in funzione del Nord Stream 2. E la guerra in Ucraina non c’entra nulla. Già dai tempi di Barack Obama, la Casa Bianca aveva chiaramente detto di non essere d’accordo con l’infrastruttura offshore gemella del primo Nord Stream.

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