Una perversa dipendenza dal petrolio soffoca il Sud Sudan

La produzione di petrolio nel paese afflitto per anni dalla guerra civile ha contaminato l’acqua potabile disponibile per 600 mila persone. L’indice è puntato contro il gigante petrolifero malesiano Petronas

Una perversa dipendenza dal petrolio soffoca il paese africano

È nota al grande pubblico come main sponsor del team Mercedes di Formula 1. Ma ora la compagnia petrolifera malesiana Petronas si sta rendendo protagonista in Africa e non per meriti sportivi. L’Organizzazione no-profit tedesca “Sign of hope” accusa il gigante petrolifero di aver inquinato le falde acquifere in Sud Sudan. L’Ong, in realtà, aveva rilevato la contaminazione delle acque già dal 2007.

A sostenere le accuse di “Sign of hope” è poi intervenuto anche un istituto di ricerca sanitaria, Charite, che ha riscontrato piombo e bario nei capelli dei sudanesi. Le conseguenze sulla salute, come anemia, paralisi e insufficienza renale, possono rivelarsi drammatiche. Nella regione del Thar Jath, circa 450 chilometri a nord della capitale Juba, c'è una popolazione di oltre 600 mila persone che soffre a causa del comportamento di Petronas. E non è stata ancora trovata una soluzione che assicuri acqua potabile per queste persone, nonostante le intenzioni riparatrici avanzate da Petronas.

Prima il danno, poi la beffa. Non solo il problema non è stato risolto, ma probabilmente è destinato a peggiorare. Il Sud Sudan ha deciso di espandere la produzione di greggio. Il bilancio statale, disastrato da anni di guerra civile, ha infatti urgente bisogno di entrate per “finanziare anche politiche a favore dell’ambiente”, come aveva spiegato nei mesi scorsi il ministro del Petrolio, Ezekiel Lol Gatkuoth. Ma si tratta di dichiarazioni di facciata smentite dall’evidenza dei dati. I fondi servono innanzitutto per sostenere la spesa militare che raggiunge il milliardo di euro l’anno. Occorre, poi, considerare che il Sud Sudan è un paese afflitto dalla corruzione e il Governo non sembra in grado di controllare l'industria petrolifera, che può quindi contare su costi di produzione bassi senza l’assillo di dover rispettare le normative ambientali.

Nonostante ciò, il presidente Salva Kiir ha pensato bene di concedere l’estensione delle licenze per l’estrazione petrolifera a quattro colossi dell’oro nero: Petronas, China National Petroleum Corporation, Indian and Oil Gas Corporation e Nile Petroleum Company (controllata dall’esecutivo del Sud Sudan). Secondo il ministro del Petrolio, Ezekiel Lul Gatuoth, l'obiettivo è raggiungere la produzione massima di 350.000 barili al giorno entro la metà del 2019. La ripresa della produzione arriva quasi dopo cinque anni di sospensione a causa di una guerra civile che ha ucciso decine di migliaia di sudanesi e creato una quantità abnorme di rifugiati: 2,3 milioni.

Ecco allora che lo spasmodico bisogno di aumentare la produzione di petrolio rivela un paradosso del Sud Sudan. È il paese più giovane al mondo, con la terza maggiore riserva di greggio nell'Africa sub-sahariana, ma è anche lo stato più dipendente dal greggio a livello globale. Il settore petrolifero e del gas contribuisce a circa il 60% del prodotto interno lordo e costituisce la quasi totalità delle esportazioni. È un circolo vizioso. Il paese non riesce a rinunciare al petrolio, ma ora la contaminazione da piombo e bario rischia di compromettere le prospettive del Sud Sudan e della sua giovanissima popolazione.

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su LA STAMPA

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