Lo spread è sceso ai livelli del governo Draghi ...

Una buona notizia (dal retrogusto amaro)

Lo spread è sceso ai livelli del governo Draghi

Uno spread così basso, 126 punti venerdì (15 marzo), non si vedeva dal governo Draghi, iniziato a 100 e finito a 250 in quell’estate 2022 che ha aperto poi la strada all’esecutivo attuale. Per la premier Meloni si tratta di un riconoscimento: “Siamo una nazione virtuosa”. La notizia in sé è positiva. Perché lo spread misura la differenza tra Btp e Bund, cioè del rendimento tra i titoli italiani e tedeschi a dieci anni. In buona sostanza il costo del debito del Paese e, dunque, la sua solidità.

Peccato, però, che l’Italia resta il Paese dell’Eurozona con lo spread più alto. Di sicuro più alto dei Paesi ex Piigs: il Portogallo sta a 63, l’Irlanda a 37, la Grecia a 93, la Spagna a 80. Il vento è quindi girato per tutti i paesi messi peggio in Europa. In particolare le economie del Sud crescono in modo più solido e continuo di quelle del Nord. La Germania fatica ad uscire dalla recessione e l’Italia riesce persino a sorpassarla, per ora.

Il punto della questione è che, per fornire un reale vantaggio, lo spread dovrebbe rimanere a questo livello a lungo. Il debito pubblico italiano ha una vita media di circa 7 anni. Quindi ogni variazione dello spread ha un effetto dilazionato sul costo medio del debito: si scarica man mano che scadono i Btp e vengono rinnovati ai nuovi tassi. Che per ora sono ancora alti: al 3,72 per cento.

Il tasso dei Bund tedeschi è cresciuto di più (altro motivo di uno spread migliore per noi): dal 2 per cento di inizio gennaio al 2,43, che resta pur sempre oltre un punto in meno dei nostri titoli. La spesa per interessi dell’Italia sembra pertanto destinata a restare oltre il 4 per cento del Pil, come peraltro indicato dal governo nella Nadef.

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