Sfamare il Pianeta con la genetica. È ciò che serve?

Gli scienziati possono alterare la struttura molecolare delle piante attraverso una nuova tecnologia. La Corte di giustizia europea ha però stabilito che le colture geneticamente modificate ricadono sotto la direttiva sugli OGM

Sfamare il Pianeta con la genetica. È ciò che serve?

Un giorno di 200 anni fa una fragola cilena ha avuto un incontro al buio con una fragola statunitense. L’appuntamento, organizzato da giardinieri che avevano l’obiettivo di trovare un frutto dal gusto più gradevole, ebbe luogo in un elegante giardino francese: fu colpo di fulmine. Una svolta per i consumatori europei visto che la varietà continentale era più piccola. Come poi si è scoperto, i geni cileni contenevano l'ingrediente magico e quasi tutte le fragole che oggi acquistiamo provengono da quella varietà.

Nel bricolage genetico non ci sono solo frutti di bosco. I mesopotamici iniziarono a propagare erbe selvatiche con i semi più grandi 10.000 anni fa. Alla fine li trasformarono in raccolti che chiamiamo riso, grano, orzo, avena, miglio e segale. Ma, rispetto al passato, adesso c’è una novità. Un miliardo di persone sono malnutrite e garantire loro cibo sufficiente è una grande sfida.

In molti hanno creduto che la soluzione fosse a portata di mano, chiedendo aiuto alla genetica. Siamo arrivati al punto di decodificare i genomi. Gli scienziati possono alterare la struttura molecolare delle piante con una nuova e accurata forbice chiamata CRISPR, che è stata anche propagandata come uno strumento per "democratizzare" le informazioni genetiche. Si utilizzano molecole di acido nucleico ricombinante – ottenuto cioè artificialmente - per identificare la sezione di DNA che si intende modificare.

In linea di principio, CRISPR non fa altro che replicare quanto già accade in natura: creare alterazioni in geni selezionati tra quelli presenti nel genoma di una pianta. Le mutazioni che ne derivano non sono diverse da quelle che si verificano spontaneamente in natura o indotte dall’uomo. Se alleviamo maiali domestici, vacche da latte, ciliegie extra grandi e uve più dolci è comunque grazie alla genetica. Dov’è, quindi, il problema?

La risposta è in un processo dapprima naturale - stabilito dai tempi non indotti dall’uomo - che con la genetica diventa artificiale e troppo veloce. È questo che ha fatto riaccendere i dibattiti etici sulla manipolazione umana del DNA di piante e animali. Non è, tuttavia, un reflusso casuale. Il confronto è ripartito perché la scienza si sta dirigendo verso un territorio inesplorato e ci sta andando ad altà velocità. E in questo processo ha un ruolo l’industria alimentare, che sta investendo molte risorse per convincerci che abbiamo bisogno di cibo ad alta tecnologia per nutrire il mondo.

Rendere la produzione agricola tecnologica funziona per concentrare ancora di più il mercato, ma è quello di cui abbiamo bisogno? Il timore è che i grandi gruppi del food&drink stiano seguendo la strada già percorsa nel recente passato, quando l'adozione diffusa di colture geneticamente modificate tolleranti ai pesticidi ha finito per aumentare la dipendenza delle piante da quelli più pericolosi.

A mettere un paletto ci ha pensato nei giorni scorsi la Corte di giustizia europea, secondo cui i vegetali ottenuti attraverso la tecnica di mutagenesi sono OGM e dovrebbero, dunque, rientrare nella specifica direttiva. Il parere della Corte conferma gli avvertimenti degli scienziati: il gene editing può causare alterazioni indesiderate nel DNA con conseguenze imprevedibili.

Perché, allora, non guardare anche al lato del consumo? Consumare meno e meglio non sarà sufficiente per sfamare tutti, ma segnerebbe un passo significativo verso un mondo più sostenibile.

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su LA STAMPA

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