
Secondo Udi Levi, ex capo dell’unità di intelligence finanziaria del Mossad, due lettere – datate 2012 e 2018 – indicherebbero trasferimenti da 15 e 50 milioni di dollari dal Qatar a Benjamin Netanyahu per finanziare le sue campagne elettorali. Documenti giudicati “falsi” in Israele senza approfondite verifiche, ma che all’estero continuano a destare sospetti.
Criptovalute e legami familiari
Levi punta il dito anche contro la gestione patrimoniale della famiglia Netanyahu. Tra le ombre, il ruolo del cognato Amartzia Ben-Artzi, esperto di piattaforme per criptovalute, e le relazioni del figlio Yair con l’imprenditore Brock Pierce a Porto Rico. «Non può essere che un premier dichiari un salario medio e all’improvviso compaiano centinaia di milioni sul conto», ha affermato Levi.
Un’indagine mai partita
In Israele, però, ogni tentativo di aprire fascicoli su Netanyahu e i suoi presunti rapporti con Doha sembra arenarsi. Lo Shin Bet aveva avviato verifiche, poi bruscamente interrotte dopo la sostituzione del direttore Ronen Bar con un fedelissimo del premier. «Qualcuno ha deciso di insabbiare», denuncia l’ex agente.
Il peso politico e la guerra
Netanyahu ha sempre negato qualsiasi finanziamento occulto, ma le accuse tornano mentre Israele è impegnato nella guerra su Gaza. Per Levi, chiarire queste vicende non è solo questione giudiziaria, ma chiave per capire la politica del premier, che per anni ha permesso al Qatar di finanziare Hamas sperando di mantenerlo sotto controllo. Una strategia che, sostiene, si sarebbe rivoltata contro Israele il 7 ottobre 2023.