Il paradosso della tassa sugli extraprofitti: grazie all’imposta le banche italiane hanno guadagnato 3-4 miliardi in più

Dalle banche italiane 7 miliardi di tasse sugli utili 2023. Ma tre gruppi pagano tra zero e il 17 per cento grazie ai crediti d’imposta.

Il paradosso della tassa sugli extraprofitti

I nodi fiscali prima o poi vengono al pettine. Reduci da un 2023 record con circa 25 miliardi di euro di profitti netti aggregati, quanto pagheranno le banche italiane? In attesa dei fascicoli di bilancio, che mostreranno le imposte indirette, e delle ritenute sui dividendi, si può stimare che gli istituti attivi in Italia verseranno in tutto una decina di miliardi di euro al fisco.

L’aliquota media è del 30 per cento sui 25 miliardi di profitti. Ma Mps, Bper e Unicredit sfruttano a fondo benefici e agevolazioni. Con il risultato che i tre gruppi pagano tra zero e il 17 per cento grazie ai crediti d’imposta. E, alla fine, nessuno versa un euro di “tassa extraprofitti”.

Rispetto a quest’ultimi, in pratica, gli istituti di credito invece di versare l’imposta hanno optato per un incremento delle riserve (facoltà prevista dalla normativa vigente), dimezzando così l’accantonamento sui crediti e facendo crescere ulteriormente gli utili. Si tratta di ulteriori extra guadagni dopo un anno già d’oro per i loro bilanci.

Così, anziché tassare i “profitti ingiusti” delle banche italiane come nelle intenzioni del governo, la norma sugli extraprofitti ha contribuito a far guadagnare 3-4 miliardi di euro in più al settore bancario nel 2023. La scelta dell’opzione di creare riserve patrimoniali per 2,5 volte l’imposta dovuta, colta da tutti gli istituti, ha infatti consentito (come detto) di dimezzare gli accantonamenti su crediti, e così accrescere gli utili d’esercizio per un 15 per cento circa.

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