
Negli ultimi mesi il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha effettuato massicci acquisti di obbligazioni societarie e municipali. Secondo i documenti pubblicati dall’Ufficio per l’etica governativa degli Stati Uniti, tra fine agosto e inizio ottobre gli investimenti in bond ammontano ad almeno 82 milioni di dollari, mentre il valore massimo dichiarato supera i 337 milioni di dollari.
I titoli acquistati: chip, tech e finanza
A colpire maggiormente non è solo la cifra, ma il tipo di aziende coinvolte. Molte di esse sono tra le principali beneficiarie delle politiche economiche dell’amministrazione Trump. Tra le obbligazioni acquistate figurano infatti: Broadcom e Qualcomm, giganti dei semiconduttori; Meta, colosso tech; Goldman Sachs, Morgan Stanley e JPMorgan, pilastri di Wall Street; Intel, azienda in cui lo stesso governo USA – sotto Trump – ha acquisito una quota strategica.
Coincidenze o conflitti d’interesse?
Il caso ha inevitabilmente sollevato discussioni sulla linea di confine tra politica e finanza. Il tempismo non è passato inosservato: la notizia degli acquisti di bond di JP Morgan è arrivata a ridosso della richiesta formale di Trump al Dipartimento di Giustizia di indagare sulla banca per i suoi rapporti con Jeffrey Epstein.
La Casa Bianca, interpellata, non ha commentato. In passato l’amministrazione ha ribadito che né Trump né la sua famiglia hanno un ruolo diretto nella gestione degli investimenti, affidati a un istituto finanziario esterno. Tuttavia, il dibattito sul potenziale conflitto d’interessi rimane aperto.
Un presidente-investitore che divide
Il quadro che emerge è quello di un presidente che continua a muovere capitali ingenti nei mercati che, allo stesso tempo, le sue decisioni politiche influenzano. Per i sostenitori: normale amministrazione. Per i critici: l’ennesima zona grigia tra potere pubblico e interessi privati.


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