La lezione che l’economia e la politica possono apprendere dallo sport. E dall’integrazione multietnica

Talento, fatica e sacrificio. In realtà dietro un grande successo sportivo si nasconde anche dell’altro. Qualcosa che la politica sembra non considerare.

La lezione dello sport

L’importante successo dell’Italia alle Olimpiadi di Tokyo 2020 è il frutto di storie e sacrifici complessi. Dietro una vittoria sportiva (soprattutto se di portata olimpionica) si nasconde anche dell’altro: la programmazione.

Quello che in economia si potrebbe paragonare alle politiche strutturali, ovvero di medio-lungo periodo. Ed è, invece, esattamente ciò che manca al nostro paese da lungo tempo, asfissiato da una politica schizofrenica che si concentra sul breve periodo, preoccupata di dare un senso elettorale alle proprie azioni.

Ecco allora che l’esperienza delle Olimpiadi sta lì a ricordarci che i successi (e le politiche strutturali) hanno bisogno di tempo, di tanto tempo per poter incidere appunto sulla struttura socio-economica di un paese.

Qualunque intervento di politica economica - dal mercato del lavoro alla ricerca scientifica, dalle grandi opere agli interventi su ambiente ed energia, dalla mobilità alla scuola e alla sanità - ha bisogno di 5-10-15 (a volte) più anni. In una parola programmazione, che l’Italia sportiva conosce bene, e da tempo. L’altra Italia, quella dell’economia e della politica, molto meno. E questa è la prima lezione.

Ma la programmazione senza investimenti rischia di rivelarsi un vuoto a perdere (siamo alla seconda lezione), soprattutto in un paese come il nostro dove i fondi messi a disposizione dell’istruzione primaria, secondaria e terziaria non sono sufficienti. E, in tal contesto, anche quelli destinati all’attività sportiva per i giovani sono modesti.

C’è poi un terzo aspetto. Quante medaglie avrebbe ottenuto l’Italia (ma questo vale un po’ per tutti paesi con in testa quelli più ricchi) senza il contributo degli atleti di origine (principalmente) africana? La risposta è molto meno.

Si parla spesso di ‘cervelli in fuga’ e non abbastanza di quanto sarebbe importante soprattutto nel mondo dell’economia e del business poter contare su una forza lavoro multietnica anche nelle posizioni di medio-alto livello. Ecco allora che il vero limite è l’incapacità da parte del nostro paese di attrarre eccellenze dal resto del mondo. Il che sarebbe determinante specialmente nell’ambito di un’economia globalizzata. La Silicon Valley sarebbe diventata ugualmente quella che è, ad esempio, anche senza l’apporto di migliaia di ingegneri indiani?

Tanto di cappello dunque al presidente del Coni, Giovanni Malagò, che ha avuto il coraggio di parlare di ‘ius soli sportivo’ e vittorie multietniche. E qui veniamo alla terza lezione: la funzione dello sport come strumento di integrazione. Il che ci riporta all’inizio di questo articolo e delle tre parole chiave da tenere a mente: programmazione, investimenti, integrazione.

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