4004, il microchip che ci ha cambiato la vita

Nel novembre 1971 veniva installato all’interno di un calcolatore il microprocessore che avrebbe cambiato la storia dell’informatica permettendo l’utilizzo di tecnologie oggi quotidiane

4004, il microchip che ci ha cambiato la vita

È il 15 novembre 1971 quando viene lanciato sul mercato il 4004. Passerà alla storia come il primo vero microchip commerciale: un francobollo di silicio con zampette di metallo su cui sono stampati circuiti con una potenza di calcolo equivalente a 2.300 transistor. Il produttore è Intel, una start-up nell’ambito delle memorie per calcolatori, che cerca con un nuovo prodotto di sfuggire alla concorrenza sempre più pressante delle industrie giapponesi.

È l’inizio del cammino che un giorno porterà nelle nostre case e nelle nostre tasche personal computer, smartphone e ogni tipo di prodotto ‘intelligente’. Il 4004 è a tutti gli effetti un ‘computer programmabile su singolo chip’, dietro al quale ci sono il lavoro e l’intuizione di Federico Faggin, un geniale laureato in fisica dell’Università di Padova.

Non si tratta di una scoperta scientifica e a rigore nemmeno di un’invenzione, ma il design rivoluzionario ideato da Faggin avrà un impatto rivoluzionario sullo sviluppo della tecnologia informatica (il microprocessore rappresenta un passaggio simile a quello dal motore a elica al jet).

Tornando al rapporto tra blocchi in competizione e sviluppo tecnologico, specialmente in ambito militare, secondo alcuni il titolo di primo microprocessore andrebbe riconosciuto all’MP944, sviluppato da Ray Holt nel 1970 per equipaggiare i caccia F-14 Tomcat. La vicenda fu però coperta da segreto militare fino al 1998, limitandone l’impatto tecnologico e sociale.

Un altro concorrente per la palma di primo microchip è il Four-Phase System AL1, ideato da Lee Boysel pochi mesi prima della messa in commercio del 4004, sulla carta addirittura superiore rispetto all’omologo prodotto da Intel, ma meno noto e impattante per il mercato. Anche perché si tratta di un chip custom, in pratica da riadattare alle esigenze di ogni cliente: cosa che se da una parte può giovare in termini di prestazioni, dall’altra ne rende più difficile (e costosa) la produzione.

Rispetto ai concorrenti l’idea di Faggin ha il vantaggio della flessibilità; progettato inizialmente per le calcolatrici programmabili della giapponese Busicom, ‘ispirate’ ai prodotti Olivetti, il 4004 può virtualmente essere installato su ogni apparecchio. Inizia l’epoca in cui i ritmi saranno dettati dalla cosiddetta prima legge di Moore, dal nome di uno dei fondatori di Intel, secondo la quale la potenza di calcolo dei nuovi circuiti raddoppia ogni 18 mesi.

Gli home computer arriveranno solo più tardi, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, ma la strada è già tracciata. Se il 4004 era comunque più potente dell’Eniac, il primo computer elettronico, che occupava un’intera stanza e pesava alcune tonnellate, oggi i moderni microchip sono enormemente più performanti e si trovano praticamente dappertutto, non più solamente nei computer e nei telefonini. Oggi i nuovi microchip sono tridimensionali e non planari. E nella stessa area riescono a contenere non migliaia, ma decine di miliardi di transistor. Quando Faggin realizza la sua creatura riesce a stampare circuiti con una misura minima 10 micrometri, millesimi di millimetro. Oggi è possibile stampare circuiti da 5 nanometri, 5 milionesimi di millimetro.

Un settore strategico in cui a dominare dopo mezzo secolo sono ancora gli Usa. Tra le prime 10 aziende produttrici sei sono statunitensi, due coreane, una taiwanese e una europea. La Cina intanto sta facendo uno sforzo enorme ma per ora riesce a coprire appena il 50% del suo fabbisogno. Proprio la competizione tra le due superpotenze, Cina e Usa, fornisce una chiave di lettura su quanto sta avvenendo su scala globale: dalla penuria di microchip, che minaccia da sabotare la ripresa dopo la pandemia, alle tensioni su Taiwan, uno dei produttori più importanti al mondo di semiconduttori. Una competizione dalla quale l’Europa risulta per ora esclusa, a meno di non tornare a investire massicciamente su un settore strategico. La microelettronica si basa sulla meccanica quantistica, di cui costituisce una delle applicazioni più eclatanti. Per questo è importante tornare a puntare anche sulla ricerca di base.

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