
Dopo settimane di trattative riservate tra Ginevra e Londra, è stata una telefonata diretta tra Donald Trump e Xi Jinping a sbloccare l’intesa. Gli Stati Uniti e la Cina hanno così raggiunto nei giorni scorsi un compromesso per rilanciare le esportazioni di terre rare e magneti: componenti fondamentali per la produzione di semiconduttori e microchip.
Pechino accelera, ma non elimina i controlli
La Cina ha promesso di velocizzare le autorizzazioni all’export per i materiali strategici. Tuttavia, permessi e controlli resteranno attivi, come misura di sicurezza nazionale e di gestione del mercato. Una mossa che mantiene il potere regolatorio di Pechino, pur aprendo il canale commerciale verso gli Usa.
In cambio, meno dazi e più visti
Gli Stati Uniti, da parte loro, ridurranno alcune tariffe doganali e allenteranno le restrizioni su prodotti tecnologici destinati alla Cina. L’accordo prevede anche una riapertura parziale ai visti per studenti cinesi, dopo mesi di limitazioni imposte per motivi di sicurezza e spionaggio industriale.
Ma restano i nodi su acciaio, alluminio e fentanyl
Nonostante il clima più disteso, restano in vigore i dazi su acciaio e alluminio. Inoltre, non cambia la linea dura di Washington sull’export di ingredienti chimici usati per la produzione del fentanyl, un oppioide sintetico al centro di un’emergenza sanitaria negli Stati Uniti.
Una tregua, non una pace
L’accordo segna una distensione tattica, ma non cancella le tensioni strutturali tra le due superpotenze. La guerra tecnologica tra Washington e Pechino è tutt’altro che finita, ma questo passo rappresenta un punto di svolta non soltanto per le catene di approvvigionamento globali e per l’industria high-tech.