Siamo tornati al ciò che è mio è mio, ciò che è tuo è negoziabile. La globalizzazione è morta. Ora serve una “planetarizzazione”

L’umanità spende 3.000 miliardi l’anno in armi, ma dimentica la vera battaglia: quella per la sopravvivenza del pianeta

La globalizzazione è morta. Ora serve una “planetarizzazione”

Quarant’anni dopo la storica stretta di mano tra Reagan e Gorbaciov, che durante la Guerra fredda riuscirono persino a immaginare un’alleanza contro un nemico comune “venuto dallo spazio”, il mondo si ritrova intrappolato in una nuova corsa agli armamenti.

Nel 2024 la spesa militare globale ha toccato 2.700 miliardi di dollari, con un aumento record del 9,4% in un solo anno. Un’escalation che segna la fine della globalizzazione: un sistema fondato su cooperazione, commercio e regole condivise, oggi sostituito da muri, sussidi e rivalità geopolitiche.

L’illusione infranta della cooperazione mondiale

Solo dieci anni fa, nel 2015, sembrava possibile un ordine globale più giusto: l’Agenda di Addis Abeba, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e l’Accordo di Parigi segnavano la strada di una globalizzazione “verde e inclusiva”.

Oggi quell’ottimismo è svanito. Guerre commerciali, nazionalismi e crisi dei rifugiati hanno eroso la fiducia tra Paesi. Il mondo si è ristretto, tornando a essere una torta da spartire anziché da far crescere. “Ciò che è mio è mio, ciò che è tuo è negoziabile”, sintetizza lo storico francese Arnaud Orain.

L’umanità investe nelle guerre, non nella sopravvivenza

Mentre i governi si preparano ai conflitti, il cambiamento climatico, il collasso degli ecosistemi e le disuguaglianze sociali avanzano.

I quasi 3.000 miliardi di dollari spesi ogni anno per la difesa potrebbero finanziare la decarbonizzazione globale, la tutela della biodiversità e l’adattamento climatico. Invece, l’umanità si sta chiudendo dietro una “globalizzazione del filo spinato”: interdipendente, ma divisa da sfere d’influenza e logiche militari.

La planetarizzazione come nuova via

Come ammoniva Sofocle, “il male può sembrare bene a chi gli dei vogliono perdere”. È folle inseguire il potere geopolitico ignorando i limiti fisici del pianeta. Serve una nuova visione: la planetarizzazione. Non più solo globalizzazione economica, ma cooperazione planetaria per la sopravvivenza comune.

La prossima COP30 di Belém (Brasile) dovrà essere l’occasione per avviare questo cambio di paradigma, dopo i deludenti negoziati sulla plastica che hanno mostrato tutta la miopia della politica mondiale.

La tecnologia non ci salverà da sola

Certo, viviamo un’epoca di straordinaria innovazione: intelligenza artificiale, biotecnologie, energie rinnovabili. Ma la storia ci avverte: la scienza che produce fertilizzanti può creare anche armi chimiche.

Il rischio è che, ancora una volta, le applicazioni militari prevalgano su quelle civili. Se “seguiamo il denaro”, vediamo che i bilanci della difesa superano di gran lunga quelli climatici.

La scelta è adesso

Non ci saranno seconde occasioni. Il bilancio del carbonio si assottiglia, i confini ecologici vacillano, e il tempo per cambiare rotta sta finendo.

O il mondo accetta di organizzarsi per sopravvivere insieme, oppure si dividerà in blocchi armati pronti a contendersi le ultime risorse.

La globalizzazione è finita. Ma la planetarizzazione – la consapevolezza che la Terra è un bene comune da difendere – deve ancora cominciare.

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