
Disoccupazione giovanile, crisi immobiliare, consumi fermi: tutto questo, per Xi Jinping, può aspettare. La priorità è politica: dimostrare che la Cina detta ancora le regole del gioco globale, anche in un mondo dominato da dazi e guerre commerciali.
Il protezionismo “silenzioso” di Pechino
Nonostante i dazi americani, l’export cinese cresce del 6% nei primi nove mesi del 2025. Le vendite verso gli Stati Uniti sono crollate (-17%), ma Xi ha reagito dirottando le esportazioni verso l’Europa (+8,2%) — con Germania e Italia in prima linea — e verso l’Asia, da Filippine a Vietnam. Intanto, Pechino riduce gli acquisti dall’Unione Europea (-4%) e dall’Italia (-8%), esercitando un protezionismo di fatto.
Washington in cerca di equilibrio
Gli Stati Uniti, travolti dalla politica dei dazi di Trump, non hanno ancora ritrovato stabilità. Nel 2025 l’export americano è fermo, mentre l’import cresce di 200 miliardi di dollari: le imprese accumulano scorte per paura dei nuovi rincari. Ma, dietro i numeri, è la politica di potenza a guidare le mosse delle superpotenze, non il libero mercato.
La strategia di Xi: flessibile dove conviene, inflessibile dove serve
Secondo il Wall Street Journal, Xi ha creato una task force con i suoi più stretti collaboratori — Cai Qi, He Lifeng e Wang Huning — per definire una nuova dottrina negoziale verso gli USA: “Concedere su ciò che conta poco, colpire dove fa più male.” Così Pechino ha accettato la vendita delle attività di TikTok a investitori americani e ha ripreso le importazioni di soia dal Midwest, ma ha risposto duramente ai controlli USA sui semiconduttori: il 9 ottobre ha imposto restrizioni all’export di terre rare, cruciali per smartphone, auto e missili.
Terre rare: l’arma invisibile della Cina
La mossa ha avuto effetto immediato. Trump sa che Pechino controlla il 90% del mercato mondiale delle terre rare, anche perché accetta sul proprio territorio processi di raffinazione altamente inquinanti. Gli Stati Uniti e l’Europa potrebbero diversificare le forniture, ma servirebbero anni per riuscirci. Xi lo sa. E gioca la carta dell’attesa, consapevole che per ora il mondo non può fare a meno della Cina.
L’arma decisiva: il petrolio di Mosca
Le sanzioni di Trump contro Rosneft e Lukoil hanno messo Xi in una posizione unica: la Cina può decidere il futuro della guerra in Ucraina. Se Pechino rispettasse i divieti sull’acquisto di greggio russo, Putin si troverebbe senza fondi per continuare l’invasione. Ma Xi non si muove mai gratis: come per l’Iran — da cui la Cina compra il 90% del petrolio esportato nonostante le sanzioni — anche stavolta potrebbe chiedere un prezzo politico.
Il prezzo: Taiwan in cambio dell’Ucraina?
Secondo fonti diplomatiche, Pechino potrebbe offrire un patto implicito: “Rispettiamo i divieti sul greggio russo, se Washington riconosce formalmente la sua opposizione all’indipendenza di Taiwan.” Un baratto geopolitico estremo che dimostra una verità: oggi la Cina è un arbitro globale. Resta da capire come userà questa forza.



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