G20, tregua di 90 giorni sui dazi tra Usa e Cina. Ripartono i negoziati

Si chiude a Buenos Aires l'incontro dei 20 Paesi più industrializzati del mondo. Vince Trump, nessuna condanna del protezionismo. E non c'è accordo sul clima

G20, tregua di 90 giorni sui dazi tra Usa e Cina. Ripartono i negoziati

Cala il sipario sul G-20 di Buenos Aires, composto da 19 dei Paesi più industrializzati del mondo più l'Ue che rappresentano l'85% del Pil mondiale e 2/3 della popolazione globale.

Dietro le quinte il vincitore è il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Nel comunicato finale non c’è traccia di condanna del protezionismo; anzi c’è un giudizio severo sul commercio internazionale che non ha dato i benefici attesi.

Comunque su un punto l'intesa è stata trovata: la riforma del Wto, l'organismo che supervisiona gli accordi commerciali tra i vari Paesi membri, oltre 160. "Per la prima volta - è scritto nel documento finale -  si riconosce che l'Organizzazione mondiale del commercio ha fallito i propri obiettivi e dunque è necessaria una sua riforma". 

Intanto sono partite le prove di disgelo tra Stati Uniti e Cina. Donald Trump ha concesso a Xi Jinping una tregua sui dazi. Non scatterà a gennaio il rincaro delle tasse doganali americane dal 10% al 25%, che doveva colpire 200 miliardi di dollari di merci importate dalla Cina. Per ora la misura protezionista è rinviata, mentre ripartono i negoziati tra le due superpotenze. Ma il clima è cambiato proprio nel corso della cena di lavoro tra le due delegazioni, avvenuta a Buenos Aires dopo la conclusione del G20.

Un’altra richiesta è invece più delicata: Trump vuole che cessi il “furto di proprietà intellettuale ai danni delle imprese americane”. Questo comporterebbe un cambiamento radicale delle normative cinesi. In molti settori che Pechino definisce “strategici” per le multinazionali che investono e producono in Cina vige l’obbligo di accettare un partner locale e di rivelargli il proprio know how. Su questo terreno la Casa Bianca dopo il summit bilaterale non porta a casa risultati concreti, solo un impegno a continuare il negoziato.

Ma perché concedere tempo a Pechino, mentre siamo entrati nel “secondo biennio” e già i democratici si scaldano per l’elezione presidenziale del 2020? Una delle chiavi per interpretare il comportamento di Trump viene proprio dal Midwest, che fu decisivo nel voto del 2016. Infatti la recente decisione di General Motors di chiudere cinque fabbriche e licenziare 15 mila dipendenti tra Michigan e Ohio è un pessimo segnale: la congiuntura sta peggiorando, la crescita mondiale rallenta e la Fed sta gradualmente aumentando i tassi. Più che abbastanza per convincere Trump a una tregua con Xi Jinping. 

L'altro problema è il grande debito pubblico mondiale, sul quale ha messo l'accento l'Fmi. "La politica fiscale - è scritto nel comunicato - dovrebbe ricostruire le risorse laddove necessario, ed essere usata in modo flessibile e pro-crescita, assicurando allo stesso tempo che il debito pubblico resti su un percorso sostenibile".

E, infine, il clima. Gli Stati Uniti si sfilano dall'accordo di Parigi. Se gli altri partecipanti confermano il carattere "irreversibile" del patto, Washington ricorda in un paragrafo a parte che hanno respinto l'intesa. Un'unica promessa: assicurano che si impegneranno a favorire la "crescita economica, l'accesso all'energia e la sicurezza, a utilizzare tutte le tecnologie e le fonti di energia disponibili, nel pieno rispetto dell'ambiente". Non molto, in effetti. 

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