
La Nigeria è il vero gigante dell’Africa. Con oltre 200 milioni di abitanti, è il Paese più popoloso del continente e la prima economia africana. Un africano su sei è nigeriano. Metà della popolazione è musulmana, concentrata soprattutto nel Nord; circa il 40% è cristiana, prevalentemente nel Sud. È anche una potenza culturale, grazie a Nollywood, alla letteratura e a una scena creativa che ha conquistato piattaforme globali come Netflix. Sul piano energetico, è il principale produttore di petrolio in Africa.
Un gigante fragile: il paradosso dell’energia
Nonostante il petrolio, la Nigeria importa quasi tutto il carburante che consuma. Mancano raffinerie e infrastrutture adeguate: il Paese esporta greggio e compra prodotti raffinati. Il 70% delle entrate statali dipende dal petrolio, rendendo l’economia vulnerabile alle oscillazioni dei prezzi internazionali. Quando il greggio scende, aumentano inflazione e debito. È per questo che la Nigeria viene definita un “gigante dai piedi d’argilla”.
Le riforme e i primi segnali di ripresa
Qualcosa però sta cambiando. L’entrata in funzione della mega raffineria Dangote e le riforme economiche avviate dal presidente Bola Tinubu dal 2023 hanno iniziato a dare risultati. Nel 2025 il Pil è cresciuto in media del 4%, trainato dai servizi. Ma il nodo resta sociale: 139 milioni di nigeriani vivono ancora in povertà e il divario tra Nord e Sud rimane profondo.
Un Paese sotto assedio
La Nigeria è anche uno dei Paesi più insicuri dell’Africa. Nel Nord-Est operano da anni Boko Haram e gruppi affiliati allo Stato islamico; nel Nord-Ovest imperversano bande armate dedite a rapimenti di massa. Nel centro del Paese crescono gli scontri tra pastori fulani e agricoltori, aggravati dal cambiamento climatico. La violenza colpisce cristiani e musulmani indiscriminatamente. Le forze di sicurezza, mal equipaggiate, faticano a controllare territori vasti e difficili.
Perché Trump guarda alla Nigeria
Donald Trump non ha mai mostrato particolare interesse per l’Africa. Eppure la Nigeria è finita nel mirino della sua amministrazione. Ufficialmente, per la difesa dei cristiani perseguitati. In realtà, dietro il blitz natalizio americano pesano soprattutto ragioni di politica interna: la forte pressione dell’elettorato evangelico statunitense, che da anni chiede un intervento deciso. Figure come Charlie Kirk, diventato simbolo di questa battaglia, hanno contribuito a spingere la Casa Bianca a usare il dossier nigeriano come leva politica. L’intervento americano appare così come un intreccio di geopolitica, interessi strategici e consenso elettorale, più che una semplice missione umanitaria.
Il vero banco di prova
Il futuro della Nigeria non dipenderà solo dalla sicurezza o dal petrolio, ma dalla capacità di trasformare la crescita in benessere diffuso, ridurre le disuguaglianze territoriali e rafforzare lo Stato. Senza questo salto di qualità, il gigante d’Africa rischia di restare potente solo sulla carta.








