L’Europa non fa come gli Usa. E spreca capitale umano

L’integrazione dei migranti altamente qualificati nel mercato del lavoro europeo procede a rilento (mentre gli Usa hanno costruito buona parte della loro supremazia tecnologica proprio grazie al contributo di scienziati e inventori stranieri). Valorizzare le loro competenze e impiegarli in lavori più vicini alle loro qualifiche potrebbe essere vantaggioso anche per la produttività del paese ospite.

Spreco di capitale umano

L’immigrazione è spesso vista come una delle possibili soluzioni, almeno nel breve-medio periodo, ai fenomeni di carenza di competenze nel mercato del lavoro. Per esempio, è stato autorevolmente sostenuto che paesi come gli Usa abbiano costruito buona parte della loro supremazia tecnologica proprio grazie al contributo di scienziati e inventori stranieri.

Nonostante vi sia talora una percezione in senso opposto, in Europa la percentuale di immigrati con istruzione universitaria (32 per cento) è comparabile a quella degli autoctoni (34). Vi è eterogeneità tra diversi paesi, ma la percentuale di immigrati e nativi con istruzione universitaria è fortemente correlata all’interno di ciascun paese: dove la popolazione autoctona è più istruita, anche gli immigrati lo sono, e viceversa.

L’Italia, per esempio, è il penultimo Stato europeo per percentuale di nativi laureati (22 per cento nella classe di età 25-64, seguita solo dalla Romania) e l’ultimo per percentuale di migranti laureati (13).

Un alto livello di istruzione non sembra però essere sufficiente, per i migranti in Europa, a raggiungere livelli di occupazione e di qualità dell’impiego simili a quelli dei nativi con le stesse caratteristiche. I più svantaggiati sono coloro che hanno ottenuto la laurea nel proprio paese di origine e in particolare i migranti non europei.

Non c’è però solo un tema legato alla probabilità di occupazione dei migranti con istruzione universitaria. Infatti, soprattutto chi ha un titolo di studio estero, anche se occupato, ha una probabilità di svolgere lavori poco qualificati (e poco retribuiti) significativamente maggiore degli autoctoni con istruzione e caratteristiche simili.

Tutto ciò suggerisce che il Vecchio continente è difronte a un notevole spreco di competenze che sarebbero potenzialmente già disponibili nel mercato del lavoro comunitario, ma che non riescono a essere utilizzate produttivamente.

Questo mismatch comporta conseguenze rilevanti sia per i lavoratori stessi, in termini di salario e di svalutazione del proprio capitale umano, che per i paesi ospiti in termini di produttività. Sarebbe utile identificarne le cause per poter disegnare politiche mirate che possano permettere un’opportuna valorizzazione delle competenze e favorire una migliore allocazione lavorativa dei migranti.

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