L’architetto Stefano Boeri: “Il ‘warning’ fatto a Sala? Non era una minaccia, ma un vivo allarme”

L’archistar, coinvolto nell’inchiesta milanese sull’urbanistica, si sfoga sui social: “Io oggetto di una violenta campagna diffamatoria”

L’architetto Boeri: “Il ‘warning’ fatto a Sala? Non era una minaccia”

Sono un architetto e non un ‘cementificatore’. E ho fiducia nel lavoro della magistratura”: Stefano Boeri, l’archistar presidente della Triennale coinvolto nell’inchiesta sull’urbanistica, rompe il silenzio contro quella che considera una “violenta campagna diffamatoria dovuta in particolare alla diffusione di una serie di frammenti decontestualizzati di miei messaggi privati, trasmessi agli organi di informazione prima che ai miei legali e al sottoscritto. Una situazione incresciosa, non nuova in Italia sull’onda di un processo mediatico che trasforma in colpevole chi, come nel mio caso, è semplicemente coinvolto in un’indagine preliminare”.

Una campagna “denigratoria” anche contro la città e contro il modello Milano che lui difende. Boeri spiega che quei messaggi di chat con il sindaco Giuseppe Sala sono stati “‘montati’ in modo pretestuoso, senza alcun riferimento al contesto in cui erano stati formulati, così da suggerire un’immagine totalmente distorta della mia vita professionale e della mia storia privata”.

E quindi il “warning” che aveva fatto al sindaco “non era una minaccia, ma invece un vivo allarme per l’operato della Commissione Paesaggio del Comune, che continuava a bocciare il progetto della nostra ‘Torre Botanica’ adducendo ragioni che non avevano nulla a che vedere con i compiti attribuiti alla Commissione stessa”.

Simile il discorso per il suo commento sui clochard (“a Milano troppi senzatetto, parla con il tuo assessore”), “quella che era la comunicazione privata di una malevola battuta che circolava in quel periodo circa il, meritorio, lavoro dell’allora assessorato alle politiche sociali” spiega. Si tratta di “impropri montaggi di frammenti di mie frasi, estrapolati da conversazioni private” che “hanno leso in maniera profonda la mia reputazione pubblica e danneggiato la reputazione professionale del mio studio e dei miei collaboratori.

Un danno effettivo che nessuno di loro merita. Per mia fortuna, anche grazie al mio mestiere di architetto, quello che più mi rappresenta nelle città in cui ho lavorato è qualcosa di fisico, tangibile, esposto alla vista e al giudizio di tutti i cittadini”.

Boeri ricorda quanto non ha potuto fare a Milano (il metrobosco, i giardini della biodiversità all’ex ippodromo di San Siro) ma anche quanto ha realizzato dal bosco verticale al museo per la Pietà Rondanini che ha voluto al Castello sforzesco quando era assessore alla Cultura. E difende il modello Milano scagliandosi contro la “formidabile campagna denigratoria nei confronti di una città che, se oggi vive un periodo di difficile transizione (da anni segnalo il rischio che Milano diventi una metropoli di ‘anziani agiati’) è perché ha saputo candidarsi tra le metropoli internazionali più attrattive”. E l’invito è a non gettare il bambino con l’acqua sporca.

“Certamente oggi serve una più incisiva politica di redistribuzione delle ricchezze che Milano attrae e troppo spesso concentra in spazi e ambienti ristretti ed esclusivi. Ma certo - conclude -, al netto di una opportuna indagine su eventuali illegalità, non serve all’Italia la demolizione di un modello, quello milanese, di governo della complessità urbana. Un modello che da almeno venticinque anni ha saputo produrre, grazie ad una serie di straordinarie accelerazioni, ricchezza per un intero Paese”.

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