Conseguenze secolari da una demografia sbilanciata

Il problema della denatalità italiana non è tanto la diminuzione della popolazione. Ma il fatto che si altera il rapporto tra la popolazione attiva e quella anziana. Il post-Covid può essere l’occasione per cambiare rotta rispetto a politiche sbagliate

Conseguenze secolari da una demografia sbilanciata

“Nella percezione comune, il fatto di avere meno figli porta a una diminuzione della popolazione. Ma la questione più problematica non è tanto essere di più o di meno, quanto gli squilibri strutturali che si generano, in particolare nel rapporto relativo tra popolazione in età attiva (a cui è affidata la crescita economica e la sostenibilità del sistema sociale) e popolazione anziana (che tende più ad assorbire che a produrre ricchezza).” L’avvertimento è lanciato dal demografo Alessandro Rosina.

Nell’economia demografica europea - chiarisce Rosina - “l’Italia è tra i paesi membri che più contribuiscono a far lievitare la presenza di anziani e tra quelli che più indeboliscono la presenza delle nuove generazioni (da oltre dieci anni le nascite sono state in continua caduta) e, in prospettiva, della forza lavoro”.

Il tasso di dipendenza degli anziani si avvicina a 1,5 persone in età lavorativa (15-64 anni) per ogni over 65. Il valore medio europeo è attorno al 50%. Se poi si aggiungono ‘quota 100’, il record di Neet (gli under 35 che non studiano e non lavorano), una bassa partecipazione femminile, risulta chiaro che “non solo la forza lavoro in Italia si riduce come conseguenza della denatalità, ma è ancor più indebolita da politiche sbagliate e carenti”, accusa il demografo.

“Abbiamo investito poco e male sulle voci più importanti per dare solidità al nostro futuro: formazione, conciliazione, politiche attive, ricerca, sviluppo e innovazione – spiega Rosina -. E l’impatto della pandemia causata da Covid-19 ha ulteriormente complicato il quadro.”

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